Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Visentini, Roche e il tradimento del 1987 a Sappada

- di Lorenzo Fabiano

Di imprese epiche e drammi, le pagine del romanzo del Giro d’Italia son piene: ma vi troverete pure storie di agguati, imboscate e tradimenti, e anche qui la serie è piuttosto lunga. Il più eclatante si consumò il 6 giugno del 1987 alla quindicesi­ma tappa del Giro sulle strade venete, 224 chilometri dal Lido di Jesolo a Sappada. Protagonis­ti due compagni di squadra alla Carrera, il bresciano Roberto Visentini (a sinistra nella foto), il bello e ricco figlio di papà in seno al gruppo, e l’irlandese Stephen Roche (a destra), guance rosse su una faccia da bravo garzone di bottega. «Ci penso quando esco in bicicletta, ci penso quelle poche volte che guardo una corsa in tv. Penso alle riunioni della squadra, a Roche che diceva sempre sì, perfetto, ho capito. E poi… Ancora oggi non riesco a capire. Mi hanno detto: “Ma come hai potuto essere così coglione?”. Io una cosa simile nemmeno la potevo concepire. Sono convinto che se ora, per uno sventurato caso, dovessi incontrarl­o, sarebbe capace di abbracciar­mi. Così bravo a recitare, e a convincers­i di essere nel giusto. Quei 40 chilometri verso Sappada sono stati il più brutto momento della mia vita», ha raccontato Roberto Visentini tornando a quanto accadde quel giorno.

Visentini ha vinto il Giro del 1986 e parte a caccia del bis da capitano della squadra; a Roche, in gran forma, danno i gradi di suo luogotenen­te; i ruoli si scambieran­no al Tour de France. L’accordo pare blindato, ma in casa Carrera soffia un venticello maligno a premonire la bufera. Visentini è maglia rosa, ma con Roche alle calcagna sente tirare brutta aria; il ds Davide Boifava assicura: «Roberto è il nostro capitano. La squadra è al suo servizio». Il 6 giugno la carovana parte dal Lido di Jesolo alla volta di Sappada, per la prima delle tappe dolomitich­e. È una calda giornata di sole, che in corsa si fa di fuoco. L’irlandese attacca, e per due volte: la prima sulla Forcella di Monte Rest, ma viene ripreso; la seconda botta la piazza sulla salita verso Cima Sappada, e stavolta fa male. Visentini si stacca, i gregari della Carrera lo aiutano, tutti tranne l’ammutinato belga Eddy Schepers che non tira un metro. Davanti, Roche

I corridori Carrera La corsa rosa si decise nella tappa partita dal Lido di Jesolo Una ferita mai sanata

sente profumo di rosa, trova alleati e spinge come un dannato; dall’ammiraglia Boifava gli ordina di fermarsi, e invece tira dritto. Dietro, il bresciano impreca, smoccola e annaspa. Si dimentica persino di mangiare e va in crisi di fame, alla deriva metro dopo metro. Sappada è il suo Calvario.

L’olandese Van der Velde vince la tappa, Roche indossa la maglia rosa. Visentini arriva a sei minuti, esausto e rosso di livore. Infuriato, chiede che l’irlandese sia cacciato dalla squadra: «Stasera qualcuno va a casa», ringhia. Alla sera i fratelli Tacchella, patron della Carrera, raggiungon­o Sappada per un processo per direttissi­ma in albergo. Al mattino Boifava e Tito Tacchella provano a smorzare i toni: «Basta polemiche, ora pensiamo a vincere il Giro» ripetono. La squadra è divisa in due: tre gregari a Roche, tre a Visentini. A colazione Stephen Roche prova ad avvicinare il compagno che gli intima: «Non ci provare nemmeno».

Li attende il tappone della Marmolada: sui tornanti la gente si scaglia contro la maglia rosa ricoprendo­la d’insulti, sputi e minacce. Visentini l’attacca ma è un fuoco di paglia e perde ancora terreno. Si ritirerà alla penultima tappa, che sale a Pila, quando cade fratturand­osi il polso. Roche domina la scena e conquista un Giro d’Italia dei veleni. La sua è una stagione magica: calerà il tris vincendo anche Tour e campionato del mondo.

Il chiariment­o tra i due non ci sarà mai: tre anni fa la Carrera si è ritrovata nella sede di Caldiero per celebrare le vittorie di Roche in quel 1987; c’erano tutti, tranne Roberto Visentini: «Roberto non vuole più vedere nessuno di quella squadra, tantomeno Roche», ha spiegato Davide Boifava. Dopo oltre trent’anni, «il tradimento di Sappada» è per lui una ferita ancora aperta.

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