Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
TRE CHIAVI PER NUOVE TRAIETTORIE
C’è un fatto che, in maniera visibile e allo stesso tempo paradigmatica, segna un punto a favore di chi sostiene, con ottimismo, che questa spirale pandemica possa segnare uno spartiacque e un passo in direzione ascendente fra quello che il Pulitzer Thomas Friedman (l’autore del profetico Il mondo è piatto sull’interconnessione globale) ha definito l’a.c. e il d.c. (avanti e dopo il Corona). Dove il post è una meta a cui aspirare nell’ottica caparbia di uscire migliori. Una risposta all’appello che nei giorni più drammatici papa Francesco ha lanciato al mondo: peggio di questa crisi sarebbe sprecarla. Il fatto si colloca evocativamente a Verona. È nella città piantata nel punto strategico di quello che ancora lotta per rimanere Triangolo della crescita, che lunedì gli industriali organizzano un evento che non ha la veste e la ritualità della tradizionale assemblea. Un fatto che ha tre chiavi per essere posto ben al di fuori della scontata narrazione orizzontale a cui quotidianamente assistiamo. La prima. Confindustria Verona ha scelto come tag il termine traiettorie. Traiettorie che possono avere lo spazio del prima, dell’adesso, soprattutto dell’oltre.
Un termine plurale, non impositivo, aperto. Un’infrastruttura dei saperi più che della mobilità fisica. Che ha il buon senso acquisito di bypassare i due opposti: liberi tutti e terrore. Un metodo e un contenuto. Uscire dall’atteggiamento «emergenziale» per risolvere problemi che sono complessi ma ora meno imprevedibili nella potenza dell’esponenziale, per ragionare con l’approccio della «normalità». Cioè intervenire e investire per tempo, con uno spettro di azione più strutturale che estemporaneo, nella prospettiva di un nuovo equilibrio. E qui si innesta un altro importante elemento di contenuto. Ri-costruire un tessuto di fiducia nel clima pandemico fattuale e indotto. Perché, come ha spiegato nell’intervista al Corriere il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, ponendo la questione in termini keynesiani, a fronte di un’indeterminatezza non solo sanitaria ma anche soggettiva e psicologica «le imprese e noi tutti tendiamo a procrastinare, a non consumare né investire. E tutto ciò può causare una caduta prolungata della domanda aggregata». Nell’attesa del d-day del vaccino. Quanto al quando e come ci sarà un new normal «finché non si capisce cosa sarà il nuovo mondo – magari con più digitale, con modifiche nelle attitudini, un turismo diverso e più regolato – la struttura della produzione e la natura degli investimenti non saranno definite e potremmo vivere una transizione complicata». Seconda chiave che legge questo fatto come qualificante e spartiacque in un’età di mezzo tra il prima e il dopo: il luogo. Gli industriali non scelgono un simbolo produttivo classico, come un capannone, una grande impresa, o uno snodo come un aeroporto. Scelgono l’Arena. Luogo che rappresenta più di ogni altro Verona. Più di un balcone di Giulietta inventato dalla mente vulcanica di Avena, o di una squadra in uno stadio che duemila anni fa non esisteva.
Arena come la summa di una città che si riconosce nella sua storia, più lunga di quella che si manifesta. Tanto de rughe el tempo v’à segnado, tanto el tempo v’à lustrà direbbe ancor oggi Berto Barbarani. Una città che ripescando Tolo Da Re dipingiamo come il suo fiume, el barufa con la Diga, el sbordèla, el vinse, el passa. Questa è la cifra: guardare al futuro con l’algoritmo della forza e della fiducia. Innervarlo e innovarlo non semplicemente cambiando la techne dei processi, nella manchevolezza della retrospettiva. Perché il dopo si costruisce dalla propria storia, dal proprio patrimonio. E qui si inserisce l’ultima chiave di questo fatto dal valore simbolico. La cultura come risorsa e come fattore di credibilità per una città, una regione, un Paese. Tra gli invitati a parlare
all’incontro pubblico di Confindustria non c’è solo la voce del mondo economico, dal presidente nazionale Carlo Bonomi, a quello territoriale, Michele Bauli, all’economista Lorenzo Bini Smaghi. Nell’agorà romana è stato scelto di dar voce a Massimo Osanna, direttore generale dei Musei del Mibact. A sancire che non esiste cesoia tra economia e cultura. Non solo perché come si sente spesso evocare negli eventi che dibattono di innovazione, il nuovo mare aperto è l’umanesimo digitale, in cui l’uomo torna al centro di tutto. Ma perché è la conoscenza verticale, quella infrastruttura di saperi che la profondità del passato rende visionaria di ogni possibile traiettoria. L’Alta velocità dei processi. La lentezza dello sguardo storico. Per dare senso e prospettiva a un nuovo inizio. Non è un caso che lo stesso Michele Bauli sia stato propulsore fattivo della neonata Fondazione Biblioteca Capitolare, la più antica biblioteca ancora esistente. Che non solo il mondo ma la stessa Verona ha dimenticato di avere come polmone autentico, non più polveroso, di pensiero della civiltà europea. Le traiettorie che partiranno lunedì dall’Arena hanno significati che vanno ben oltre un convegno, un’assemblea, un webinar. Rappresentano un fatto. Un punto e a capo per ripartire non seguendo un dopo senza memoria. Ma un futuro in cui ri-conoscere il proprio ruolo, la propria missione, il proprio essere comunità. Fiduciosi di essere capitale di un inestimabile capitale umano.