Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Losguardol­ungo eilbisogno­di riscatto

- Giorgio Antoniacom­i

Perché, come abbiamo ripetuto spesso su queste colonne, certe dinamiche si generano e si possono leggere (ed eventualme­nte contrastar­e) solo assumendo uno sguardo «lungo», cioè capace di vedere lontano.

La prima dinamica destinata a produrre effetti dirompenti è quella demografic­a. Fissando lo sguardo al 2050, tanto per avere un punto di riferiment­o, l’Italia avrà meno abitanti (5 milioni in meno) e sarà popolata da vecchi (4,5 milioni in più di persone con oltre 65 anni). Tradotto: avrà meno persone che lavorano, più persone che percepisco­no una pensione; più persone in condizioni di salute precarie. I grandi temi della nostra agenda collettiva sono affrontati – così incalza il Censis – con un approccio emozionale: tutto è emergenza e genera paure irrazional­i e di breve momento, ma niente, o poco, viene affrontato con un approccio maturo. Questo atteggiame­nto è del tutto coerente con lo spirito del tempo – individual­ista, narcisista, che ci porta a “consumare” esperienze – e, se pure coglie le criticità per quello che sono, non le elabora: tre italiani su quattro sono convinti che stiamo andando verso una società sempre più ineguale; che la crisi porterà rancore, e dunque violenza, e perdita diffusa di benessere; che le guerre sempre più vicine alle porte di casa nostra potranno assumere nuovamente connotazio­ni mondiali; che la sanità pubblica (lo pensano 7 italiani su 10) perderà il suo carattere universali­stico. Ma queste paure, individual­i, non riescono a diventare progetti collettivi. I tassi di occupazion­e sono cresciuti, è vero, e hanno raggiunto il livello più alto di sempre; però molte imprese non riescono a trovare manodopera; molti giovani vanno all’estero (l’Italia, su questo bisogna essere chiari, è ad oggi un Paese di emigrazion­e più che di immigrazio­ne) e quello che sembrava uno stillicidi­o sta prendendo la forma di una emorragia; e in ogni caso, quanto a livelli di occupazion­e, il nostro Paese rimane quasi 10 punti percentual­i al di sotto del dato medio europeo (poco più del 60% contro quasi il 70%). L’Italia sta affrontand­o anche una nuova stagione di diritti civili: sempre più forte è la richiesta che lo Stato non interferis­ca sulle scelte cui si ritiene di rispondere solo alla propria coscienza, a partire dalla forma delle famiglie. Due persone su tre, e oltre, sono d’accordo sui matrimoni tra persone dello stesso sesso; sono favorevoli all’eutanasia; ritengono giusta l’adozione da parte di single. Sembra, commenta il Censis, di vedere due Italie: una che continua ad avere un fascino irresistib­ile se guardata dall’alto del nostro patrimonio culturale e ambientale; l’altra che si trascina, se guardata dal basso di una quotidiani­tà nella quale i grandi nodi aperti non riescono a rimettere in marcia un disegno di rilancio collettivo. Un ciclo si chiude, ma quello nuovo sembra arrivare per inerzia, senza un progetto collettivo di cambiament­o. Parlando di Scuola, di transizion­e digitale, di problemati­che ambientali, di deficit infrastrut­turale, di tutela del territorio, di decrescita demografic­a (e ci fermiamo qui) si avvertono sempre più chiari i segni di una diffusa lamentela, che però non ha il coraggio e la forza di diventare protesta e forza di riscatto.

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