Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Stefano e la prof ritrovata nel buio di una galera «I progetti e la filosofia lui si è ucciso, io ho fallito»

- Alice D’Este Rashad Jaber

I libri presi in biblioteca e la «sua» musica non sono bastati. Hanno avuto la meglio la fatica del carcere, che ha acuito il suo male di vivere. Stefano Voltolina non ha retto il peso della detenzione e a 26 anni, si è ucciso. È successo lunedì sera nel carcere Due palazzi di Padova. Lo ha fatto impiccando­si nella sua cella con la corda dell’accappatoi­o mentre il compagno di stanza non c’era. Era arrivato a Padova in agosto con un trasferime­nto da un altro carcere per scontare una pena per violenza sessuale. Sarebbe rimasto a Padova fino al 2028.

Ci sono due vittime in questa vicenda, che rilancia il dramma nel dramma dei suicidi in carcere, sempre più frequenti in Veneto. La prima, è la donna che ha subito la violenza di Voltolina. La seconda, è Stefano, che lo Stato non è riuscito ad accompagna­re nel difficile percorso di riabilitaz­ione previsto dalla Costituzio­ne.

Il ragazzo lunedì è rimasto nella sala ricreativa del Due Palazzi fino alle 15. Poi è tornato nella sua cella. E lì si è ucciso. Le guardie carcerarie sono riuscite ad intervenir­e velocement­e e a chiamare il 118 ma non c’è stato nulla da fare, il decesso è stato registrato alle 19. «Il detenuto era seguito dai medici della sanità penitenzia­ria fin dal suo arrivo — spiega Giampietro Pegoraro, coordinato­re regionale FPCgil di Polizia penitenzia­ria — ma nelle strutture penitenzia­rie manca una presenza costante dei medici e così viene meno è il supporto psicologic­o per i detenuti. I provvedime­nti tampone mettono tutti a rischio perché le guardie carcerarie non sono preparate a gestire alcune situazioni».

«Cosa posso dire adesso? Abbiamo fallito, come altre volte. Facciamo almeno qualcosa per non dimenticar­celo» scrive in una lettera accorata Manuela Mazzacasa, che era stata professore­ssa di Stefano alle medie e l’ha poi rincontrat­o come volontaria nella biblioteca del Due Palazzi di Padova: «L’avevo intravisto, era lui, camminava mestamente davanti a me nel corridoio con un agente. L’avevo riconosciu­to dalla camminata e dalla figura, piuttosto massiccia. In biblioteca invece mi avevano colpito lo sguardo e il modo di muoversi: lui taciturno, mi aveva fatto tornare in mente un mio alunno delle medie di tanti anni prima. Poi qualche frase e ci siamo riconosciu­ti. “Prof, ma aveva i capelli lunghi e biondi…” Già, e lui era un ragazzino molto speciale».

Mazzacasa racconta della sua infanzia difficile, approdata in una casa famiglia: «Veniva da Chioggia, suo padre, pescatore (“Prof, ma non sa cosa sono le tegnue?”) e la madre gli volevano bene ma non ce la facevano a stargli dietro, non ricordo quanti figli avessero. Il suo mondo erano il mare e un cantiere di sfasciacar­rozze dove passava le giornate con una banda di ragazzini, invece di andare a scuola». Poi la vita insieme ai compagni di scuola, che l’avevano accolto e da cui l’ha separato una bocciatura, che andava a salutare camminando lungo il cornicione della suola; le fughe dall’aula, gli inseguimen­ti giù per le scale: «I ragazzi della Santini non si sono mai divertiti tanto...» Fino all’incrocio dei due destini, stavolta dietro le sbarre di una galera: «In mezzo ai libri ci siamo ritrovati. Abbiamo parlato dei suoi progetti, la musica, la scrittura.Si interessò ad un concorso

di poesia poi mi portò tre fogli scritti a mano, con riflession­i filosofich­e: volle che le leggessi insieme a lui, lo facemmo. Ci lasciammo con un piccolo progetto di lavoro, volevamo raccontare delle storie, insieme. Non l’ho più rivisto».

Ieri intanto ci sono stati altri due tentativi di suicidio nel carcere veronese di Montorio, che, tra tanti detenuti, ospita Filippo Turetta e Benno Neumair. Lo denuncia in una nota il direttivo di «Sbarre di Zucchero», associazio­ne veronese impegnata nella tutela dei diritti dei detenuti. Domenica 7 gennaio un detenuto italiano ha tentato di togliersi la vita. «Non è chiaro - scrive Sbarre di Zucchero - se col gas o ingerendo candeggina ma comunque “con qualcosa di chimico”, lasciando anche una lettera per la moglie dove le chiedeva di prendersi cura del figlio ma, fortunatam­ente, è stato salvato». Lunedì pomeriggio, quindi, «un detenuto russo si è tagliato gola e polso con una lametta e si trova in ospedale in condizioni critiche». Due episodi che vanno ad aggiungers­i ai tre suicidi in 28 giorni avvenuti a cavallo di novembre e dicembre.

Proprio a Verona è prevista per venerdì 12 la visita del sottosegre­tario alla giustizia Andrea Ostellari.

"Pegoraro Era seguito daimedici della sanità penitenzia­ria. Spesso però non assicurano la presenza costante

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Il carcere In foto il carcere di Montorio dove ci sono stati 3 sucidi in un mese e due tentati suicidi in questi giorni. Qui è detenuto Filippo Turetta

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