Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Torna per Einaudi la biografia romanzata diMazzucco: «Ambiguo, sperimentale, ma fu un artista felice» Lo studio dei corpi, la sua famiglia
l’originalità del suo autore, intorno ai 30 anni, col folgorante telero del Miracolo dello schiavo - che esibiva un talento straripante e perfino eccessivo - aveva acchiappato il successo».
Non se lo sarebbe più lasciato sfuggire, trovando la sua «maniera». Non una scorciatoia per dipingere in serie, ma una prospettiva per guardare il mondo: «In una storia ciò che caratterizza gli individui dipinti - come forse quelli in carne ed ossa - non è il volto o la cosiddetta anima, ma il corpo. Il modo in cui un corpo si muove, si tende, si contorce, si relaziona con gli altri, parla ed esprime una verità». Così Tintoretto «aveva creato una serie di tipi intercambiabili, che poteva combinare all’infinito nel teatro delle sue tele». Un outsider, un lottatore, senza maestri e privo di un mecenate, che aveva dovuto sudare per conquistarsi qualunque cosa.
Forse per questo, pur non dubitando mai del proprio talento, nascondeva fragilità e insicurezza. Amato da Sartre e David Bowie, che lo definì una «proto-rockstar», dedicandogli il nome della propria etichetta discografica, perché autore di un’arte «povera»: «Benché fosse un virtuoso del pennello e sapesse anche lui riprodurre i bagliori metallici delle armature e i riflessi della luce sulle stoffe, non lo interessano i velluti, i panneggi dei vestiti. E in fondo nemmeno i colori. Del resto si vanta di comprarli nei negozi di Rialto, dove qualunque imbrattatele può trovarli, perché l’arte non è nella materia ma nella mente e nella mano del pittore».
Nelle quasi mille pagine c’è anche la sua famiglia, di cui pure rimangono poche tracce documentate: il padre di origine bresciana, la giovane moglie Faustina, le figlie suore, i nipoti rinnegati. Ma soprattutto c’è lui, Tintoretto, su cui negli ultimi anni l’interesse si è riacceso, anche se non sarà mai un pittore davvero popolare. Nessuna sua opera, conclude Mazzucco nella postfazione, «diventerà un’icona, un manifesto o una cartolina da milioni di copie. Rimane un pittore ispido, ambiguo, sperimentale. Che evita l’immediatezza e pretende l’intelligenza e la collaborazione dello spettatore/lettore. Bombarda l’occhio e il pensiero di particolari, omette e capovolge, cita, ironizza e demistifica, sfida le abitudini e i cliché».
Un’edizione arricchita di postfazione e con una nuova veste grafica, ripercorre la vita di Jacomo Tintoretto, il «piú terribile cervello che abbia avuto mai la pittura», di Marietta, la prediletta, e degli altri suoi figli, del padre, della giovane moglie Faustina, dei nipoti rinnegati
● Mazzucco ha scritto anche, legato al pittore veneziano, «La lunga attesa dell’angelo» (2008)