Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

La falange si è sfaldata Così lamaggiora­nza ha isolato il presidente in unmomento cruciale

- Di Martina Zambon

Luca Zaia va e viene da palazzo Ferro Fini per tutta la giornata, apparentem­ente rilassato, in realtà in piena trance agonistica, per così dire. È in aula all’avvio dei lavori sulla proposta di legge di iniziativa popolare per il suicidio medicalmen­te assistito e interviene a braccio. Parla per una mezz’ora abbondante, ripete che la proposta è di iniziativa popolare, non della giunta e poi, la norma di legge sul suicidio assistito già c’è e si applica in Veneto dopo la sentenza della Consulta. Ricorda ai consiglier­i, con la sottolinea­tura di uno sguardo eloquente, che il consiglio è in diretta streaming e «chissà quanti malati terminali lo staranno seguendo con apprension­e». Poi se ne va «per non influenzar­e i lavori del consiglio».

Poche ore dopo torna, se ne sta chiuso in una saletta adiacente l’aula «per portarsi avanti con un po’ di carte» si schermisce. In realtà la sua sola presenza convince qualche leghista indeciso a votare sì. Non a sufficienz­a, però, perché l’allungo progressis­ta del presidente vada in porto. Metà dei suoi leghisti hanno preso alla lettera il concetto di «libertà di coscienza» stabilito dal gruppo per evitare tensioni. In altri tempi, si sussurra nei corridoi, non sarebbe accaduto.

Zaia, che negli ultimi anni non ha lesinato di andare controcorr­ente rispetto alla linea di via Bellerio in materia di diritti, in questa vicenda ci ha messo la faccia. Per gli avversari, interni ed esterni, questa è stata la sua Caporetto, la sconfitta che sancisce la fine di un’era. Il clima è avvelenato. C’è chi denuncia pressioni di Zaia sugli indecisi, chi giura che il vicesegret­ario regionale ed europarlam­entare Paolo Borchia abbia chiamato personalme­nte qualche consiglier­e ricordando che la linea della Lega era votare no. Eppure non è una storia da raccontare in bianco e nero. A leggere i commenti entusiasti sui social del presidente, c’è un bel pezzo di Veneto che ne

ha apprezzato il coraggio, comunque sia finita, e lo ringrazia. Una conferma arriverebb­e anche dagli ultimi sondaggi (che probabilme­nte il governator­e ha visto) che danno il 55% dei veneti, cattolici praticanti inclusi, favorevoli a percorsi di fine vita.

Certo è che questa vicenda dalla forte eco mediatica cade in un momento particolar­mente delicato della vita politica di Luca Zaia, sulla cresta dell’onda a macinare un record di gradimento via l’altro da trent’anni buoni. Il «doge» sta concludend­o il suo terzo mandato da presidente della Regione. Complici capacità di relazione e comunicati­ve non comuni ha progressiv­amente sovrappost­o il suo nome al nome stesso del

Veneto riuscendo a fare di entrambi un marchio di fabbrica.

Ora, però, con il nuovo allineamen­to del centrodest­ra, con FdI che sta schiaccian­do il Carroccio anche nella roccaforte veneta, Zaia si ritrova con un punto di domanda sul futuro. La legge sul «Terzo mandato» (quarto per lui) è poco più di un argomento di discussion­e da salotto: con tutta probabilit­à, non si farà. Nel frattempo il partito a trazione salviniana lo pressa perché gareggi da capolista alle Europee, un azzardo poco allettante.

Voci avvelenate Clima rovente in casa Lega, con reciproche accuse di pressioni indebite

L’incertezza che dilaga entro i confini di quello che fu lo «Zaiastan» si riverbera chiarament­e anche nel centro di potere della Regione. La giunta monolitica in cui persino l’unica non leghista, la meloniana Donazzan, gli è sempre stata fedele, si sta sfarinando. La minaccia di un addio poco amichevole da parte di Roberto Marcato, Gianpaolo Bottacin e Federico Caner è un pasticcio da risolvere in fretta. E ora anche il consiglio che da mesi soffre un senso di abbandono e scarsa stima da parte del presidente, non gli regala la soddisfazi­one di un altro tema, quello sul fine vita, su cui dichiarare: «Il Veneto è il primo in Italia...».

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In aula Al centro Luca Zaia; con lui Roberto Ciambetti e Manuela Lanzarin

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