Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Io, dal 7 Aprile allaMala sottovalut­aiManiero e finii succube del boss»

Vandelli: malamiaver­ainfatuazi­oneèstatap­erEmilioVe­sceeToniNe­gri

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L’ultima parte verrà trasmessa sabato 27. «Fuorilegge: Veneto a mano armata», prodotta dal padovano Alessandro Pittoni di Padova Stories, ideata da Sebastiano Facco e Marta Pasqualini, per la regia di Sebastiano Facco. Un delicato lavoro di archivio permette di vedere Padova negli anni di piombo, come le nuove generazion­i non l’hanno mai vista. La trama è la vita di «Ricky» Vandelli, avvocato passato dalle luci della ribalta, difendendo gli autonomi accusati da Calogero di essere tutt’uno con le Br, alle accuse di contiguità mafiosa con Felice Maniero e Mala del Brenta. Vandelli è stato condannato per associazio­ne a delinquere di stampo mafioso e per spaccio, radiato dall’Albo degli avvocati. Sono passati trent’anni. Ora è in ospedale per un problema di salute, già oggi dovrebbe essere dimesso. «Ma sono contento di parlare di questo documentar­io, perché è davvero ben fatto»

Vandelli, quando ha capito di essere una storia da film?

«Quando me lo hanno chiesto! (ride) Ho guardato la serie completa tre volte, i ragazzi hanno fatto un lavoro immenso, ho ripercorso la mia vita, e devo dire che è stato emozionant­e».

Una vita in tre ore, qualcosa sarà rimasto fuori...

«Sono arrivato a Padova da Verona per fare l’università, vivevo in via Gorizia (davanti al Caffè Pedrocchi ndr) con altri tre ragazzi un po’ più grandi di me, era il ‘68, facevo Giurisprud­enza ed è stata durissima, perché quelli erano tutti di destra, e una destra cattiva, eppure ce l’ho fatta, e lì è arrivata la mia grande infatuazio­ne...»

Una donna?

«No: Emilio Vesce e la lotta di classe, fui rapito da lui e da Toni Negri, erano anni in cui ognuno di noi, degli autonomi intendo, aveva un ruolo nel movimento».

E lei che ruolo aveva? «Dovevo andare a sentire le assemblee della Fgci, prendere nota di quello che si dicevano e riportare tutto ai compagni, una “spia” insomma». Quando inizia a lavorare? «Inizio con l’avvocato Giorgio Tosi, uno di sinistra vero, un grande profession­ista che aveva fatto il processo del Vajont, e ricordo che per riuscire a fare le perizie in nome dei superstiti della tragedia della diga, aveva impegnato perfino lo studio, per me era una persona immensa, avevo una grande stima di lui e dell’altro mio collega, Paolo Berti».

Poi la sua strada si divide ad quella di Tosi, perché? ✓ «I compagni, come sempre, loro non mi hanno abbandonat­o un solo momento, ma la latitanza è stata tremenda. Era impossibil­e mettermi in contatto con la mia famiglia, in quel periodo avevo anche un figlio piccolo che mi mancava molto, per nasconderm­i ero finito a vivere in posti davvero terribili, ricordo di aver pensato più di una volta “non ha senso vivere così”, alla fine mi hanno arrestato e sono andato nel carcere parigino La Santé, un luogo devastante».

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Al suo servizio Felicemi ha letteralme­nte circuito, sedotto, ricordo almeno una cinquantin­a di episodi in cuimi sono sentitoman­ipolato, non potevo più tirarmi indietro....

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