Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Schianto di Lobia, nuovi testi «Davide non era alla guida»
I genitori e il fratello del ragazzomorto: «Il sedile era troppo avanti»
Questa volta a parlare in aula sono stati i genitori e il fratello di Davide Pilotto, 22 anni di Costabissara, morto il 5 agosto 2020 in un incidente a Lobia di Vicenza. L’auto era finita fuori strada all’altezza di una curva e si era rovesciata nel torrente Orolo, dopo un salto dal ponticello di circa quattro metri. Accusata di omicidio stradale è Camilla Marcante, 27 anni di Caldogno, sopravvissuta al sinistro e difesa dagli avvocati Antonino De Silvestri e Lamberto Rongo. I genitori e il fratello di Pilotto ieri in tribunale a Vicenza hanno sostenuto che il giovane non poteva essere al volante perché il sedile dell’auto era troppo in avanti. Il ragazzo, 190 centimetri di altezza e corporatura robusta, secondo genitori e fratello in quel modo non sarebbe riuscito a guidare. A dimostrazione di questo fatto i familiari, tutelati dall’avvocato Leonardo Maran, hanno mostrato delle foto. «La polizia locale il 1 settembre - ha spiegato la mamma Eliana Rizzato - ha portato nell’azienda di famiglia i documenti del dissequestro dell’auto. La mattina dopo siamo andati al deposito. Ci siamo subito accorti che qualcosa non andava». Alessandro Pilotto, papà di Davide, ha aggiunto: «Abbiamo visto che il sedile era molto vicino al volante, ho fatto salire l’altro mio figlio, che è alto anche lui 190 centimetri e non ci stava». La madre ha quindi scattato delle foto. «Abbiamo
anche notato che la cintura del passeggero era srotolata. Dai giornali sapevamo che la ragazza era seduta dietro a Davide e che su quel sedile non c’era nessuno». Nei familiari della vittima è quindi nato il dubbio su chi fosse alla guida quella notte. Un dubbio che ha trovato ancora più forza nel padre del giovane quando, nella primavera del 2021, alla sua porta si è presentata una conoscente, ieri presente come testimone. «La mattina dell’incidente mi sono svegliata verso le 6,30 o 7 e ho controllato i social – dice la donna – e ho visto una storia Instagram di Camilla che era stata pubblicata un’ora prima. Si filmava mentre era alla guida di un’auto che non era sua. All’epoca sapevo quale fosse la sua auto perché eravamo uscite assieme, era una mini. Dal mio ricordo, sul volante c’era lo stemma della Opel». Il marchio dell’auto di Davide. L’ultimo ad essere sentito sul banco dei testimoni è stato Germano Bertacche, uno dei sommozzatori intervenuti. «Quando sono arrivato ho visto il collega che era già in acqua, gli ho chiesto se avesse bisogno e mi ha risposto di sì, così mi sono messo la tuta e l’ho raggiunto – ha detto – Non riuscivamo ad aprire la porta dal lato passeggero, quindi sono passato dal lato conducente e ho aperto la porta con il divaricatore idraulico, lì ho trovato il corpo del ragazzo che fluttuava. In quel momento il collega ha sentito chiamare da dietro e ci siamo resi conto che c’era la ragazza viva. Ho aperto la portiera passeggero dietro il lato guida, ma pur cercando di arrivare più avanti possibile non sono riuscito a prenderla, aveva una gamba incastrata. Quindi mi sono spostato nel lato passeggero opposto, ho aperto la porta, le ho liberato la gamba e lei è scivolata fuori». La testimonianza di Bertacche, tuttavia, ora potrebbe essere messa in discussione dal giudice Silvia Rossaro, dato che sono state fornite dall’avvocato Maran prove del contatto tra il sommozzatore e il padre dell’imputata: Bertacche ha poi ammesso che 15 giorni fa i due si sono sentiti per telefono.
Il video sui social Una testimone: «Quel giorno ho visto un video di Camilla e non guidava la sua auto»