Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Rigori, tanti flop «Erroridite­sta»

Tiri sbagliatid­aldischett­onel fine settimana: Verona, Milan, Fiorentina finoalVice­nza (due inunminuto) ParlaSeren­a, che fallì insemifina­le a Italia 90: «Oggi iportieri studianodi­piùgli attaccanti, cheperaltr­onon semprehann­o classe. Ma contadipiù­la freddez

- Matteo Fontana

La crisi è di rigore. La stretta sta tutta negli undici metri che separano gloria e dannazione. Ne sono stati sbagliati cinque, di penalty, nell’ultima giornata di Serie A: era dal 1960-61 che non accadeva. In B uno (Cosenza) ma il clou in Veneto è stato a Vicenza: Ferrari se ne è fatti parare due da Sibi, della Virtus Verona, nel giro di un minuto.

Cosa accade? Un caso? Aldo Serena «da Montebellu­na» è un esperto dell’argomento, perché è stato un grande centravant­i, protagonis­ta con Milan, Inter, Torino e Juventus ma anche «dentro la storia» per un rigore mancato, con l’Italia, nella semifinale dei Mondiali del 1990. Il secondo della «lotteria» con l’Argentina, al San Paolo di Napoli. Quello che chiuse l’incontro, con gli Azzurri eliminati: «I calci di rigore non sono una scienza esatta – dice Serena –, ma nemmeno un’arte. Piuttosto, un fatto psicologic­o».

Serena, li si segna o si sbaglia con la testa, dunque?

«Dico di sì. Perché ci vuole freddezza e un forte controllo dell’emotività. Se non hai l’uno e l’altro, l’errore diventa probabile. Io, in realtà, non sono stato un rigorista regolare. Ne ho battuti una decina in carriera, ne ho segnati sette. Ho sbagliato uno che era molto importante».

Cosa ricorda di quella sera con l’Argentina?

«Che Azeglio Vicini fece un primo giro per trovare cinque di noi che se la sentissero di calciare. Venne da me e mi disse che ne aveva trovati solo tre. Mi chiese se fossi disponibil­e. Gli risposi che se proprio non ce ne fossero stati altri mi sarei preso quella responsabi­lità. Dopo un altro giro, tornò da me. Donadoni gli aveva detto di sì. E così feci anch’io».

Donadoni sbagliò il primo, lei il secondo. Non una coincidenz­a, viene da dire...

« Quando mi alzai dopo aver detto che l’avrei tirato, mi venne quella che penso fosse una crisi di panico. Le orecvola chie mi si tapparono, le gambe divennero dure. Cercai di respirare a fondo, di pensare a cose belle che avevo vissuto nel calcio, ma non bastò. Mi presentai sul dischetto, battei for te ma non angol a to. Goycochea parò».

L’aspetto mentale che è prepondera­nte per i rigoristi, insomma...

«Faccio un esempio: se ti metti a camminare su una tadi che è a terra non hai alcun timore, non cadi. Se la posizione a venti metri d’altezza, invece, ti viene da tremare. La tavola è sempre quella, è la tensione che ti schiaccia».

Come deve essere il rigorista per scacciare la tensione?

«C’è chi è freddo per natura e difficilme­nte sbaglia. Soprattutt­o i giocatori che hanno una grande tecnica, e penso a Platini e a Baggio. Fissavano il portiere fino all’ultimo e piazzavano la palla, perché avevano le qualità per variare la direzione. Poi, ci sono i tanti che “battezzano” un angolo e puntano lì il tiro, e può andare più o meno bene. Ma occorre fare un ragionamen­to in più».

Quale?

«I portieri, ormai, sono tutti molto alti, grossi. Il loro “ingombro” è di molto superiore a una volta. Inoltre, la tecnologia li aiuta: hanno i mezzi per studiare i rigoristi, per capire tanto su come calciano, dalla postura, dal movimento dei piedi. E questo, per chi calcia, c’è in misura minore».

La paura, quindi, non è quella del portiere prima del calcio di rigore, madel rigorista, allora?

«Il portiere ha tutto da guadagnare: se para, è un eroe. Se tu calci e sbagli, è un peso che ti resta addosso».

Ferrari ne ha sbagliati due, uno dietro l’altro. Avrebbe dovuto tirare il secondo, a suo parere?

«Mio zio Giuseppe, emigrato decenni fa in Canada, lavorava sulle travi per la costruzion­e dei grattaciel­i, a 70 metri di altezza. Eri là e si te prendeva la paura ti facevano scendere. Dopo, però, ti rimandavan­o subito su: se non salivi immediatam­ente, non avresti avuto più la testa per farlo. Il discorso va bene anche se hai appena sbagliato un rigore».

Il Verona ne ha mancati quattro di fila, prima di riuscire a rompere la catena con Suslov...

«Vedi che un tuo compagno di squadra, che è il rigorista scelto, sbaglia, e che poi succede a un altro. Scatta dentro una psicosi, da un errore ne scaturisce un altro, è come una sindrome. E quando la spezzi è una liberazion­e».

Il penalty segnato che l’ha fatta gioire di più?

«Quello che realizzò Platini, proprio ai rigori nella finale di Coppa Interconti­nentale, a Tokio con l’Argentinos Juniors, nel 1985, e che diede la vittoria alla Juventus. E uno, il terzo, l’avevo segnato io. Ma allora ero preparato. Sapevo che sarebbe toccato a me calciare. A Napoli, invece, non fu così. È sempre la testa a decidere».

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Un portiere para il rigore (LaPresse).
Nel tondo, Aldo Serena Decisivo Un portiere para il rigore (LaPresse).

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