Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Hamrin, ilmito di Svezia del Padova più grande Addio all’asso del Paron

Segnò 20 gol nella squadra che finì terza inAnel 1958

- Di Daniele Rea

Se ne è andato anche Kurt Hamrin, l’Uccellino svedese. O «Faina», come l’aveva soprannomi­nato Nereo Rocco. Chi ci crede, potrà cercare consolazio­ne nel fatto che, qualsiasi sia la meta dell’ultimo viaggio, troverà il Paron a mettere su un altro mitico Padova, con Rosa, Brighenti, Mari e Boscolo.

Se ne è andato domenica, a 89 anni, a Firenze, dove aveva stabilito il suo buen retiro. Lì dove aveva giocato nove stagioni, con 151 gol. La Viola dopo la Juve e prima del Milan e del Napoli ma in mezzo ci sta anche la straordina­ria epopea del Padova di Rocco, stagione 1957-58, con 20 gol in trenta partite. Una coppia d’attacco formidabil­e con Sergio Brighenti, capaci di capitalizz­are la Maginot in difesa dei «manzi», quelli della linea immaginari­a da non varcare per le punte avversarie: « se te la passi, mi no rispondo de ti... ». Veloce, leggero, con una caviglia di cristallo. Leggero, forse pure troppo per le idee di Rocco sul calcio, che preferiva giocatori tecnici, sì, ma anche con un gran fisico. E invece quell’attaccante piccolino e peso piuma, che era arrivato dalla Juventus dove aveva dovuto fare i conti con una caviglia ballerina, conquistò immediatam­ente il cuore del Paron, un po’ come sarà per Dino

Sani, il metronomo del suo primo Milan. Rocco osserva Hamrin in allenament­o andare senza paura su tutti i palloni, guizzante, ambidestro, capace di «vedere» la porta eccome. Sarà un protagonis­ta di quel Padova indimentic­abile, terzo in Serie A e, a lungo, capace di far sognare anche uno scudetto impensabil­e per una provincial­e, a metà degli anni 50. Un Padova bello, solare, vincente, orgoglio di una città che inizia a scrollarsi di dosso le macerie del dopoguerra e si scopre attiva, in crescita, più serena. Un Padova che ha dissodato la terra per i frutti raccolti, anni dopo, dal Cagliari di Scopigno, dal Verona di Bagnoli, dalla Sampdoria di Boskov. Quattro maestri di calcio. Quattro giganti, quattro totem di un calcio dimenticat­o troppo in fretta. A Padova, come detto, Hamrin resta solo una stagione ma scrive pagine di storia calcistica indelebili, per tutte il gol decisivo in un accesissim­o derby con il Vicenza, all’Appiani, finito 1-0 per i biancoscud­ati.

È un calcio brumoso, in bianco e nero. Lontano. Niente sostituzio­ni, con quelli parti e con quelli finisci. Infortuni? Affari tuoi. Hai sbagliato la formazione? A posto così. Un calcio in bianco e nero, appunto, come quello della stagione 1957-58. Stadi stracolche

mi, la partita si gioca solo la domenica, un rito: il brodo con il lesso a pranzo, poi si esce di casa. Un rito alla settimana, per altro, tranne per chi ha iniziato a mettere la testa nelle coppe. La Coppa dei Campioni, dove Santiago Bernabeu piazza il suo favoloso Real Madrid ad alzare il trofeo per cinque volte consecutiv­e. Kopa, Joseito, Di Stefano, Rial, Gento: l’atomica delantera del Real che fa sognare e che arriva con echi lontani, quasi fosse un altro pianeta. Echi lontani come quelli, pur italianiss­imi, che portano i successi di Ribot all’Arc de Triomphe o di Nicola Pietrangel­i al Roland Garros. E in quegli anni sono tanti i fuoriclass­e in Italia, uno per tutti Juan Alberto Schiaffino, arrivato al Milan dritto dalla finale ai Mondiali del 1950, quelli del Maracanazo. Un altro calcio. E anche il Padova ha la sua delantera,

non avrà la stessa inarrivabi­le qualità di quella del Real ma si fa rispettare: Hamrin, Humberto Rosa, Sergio Brighenti, Giacomo Mari, Enore Boscolo. A conferma che quel Padova, targato con troppa superficia­lità come epitome del catenaccio, aveva un potenziale di fuoco, davanti, da fare invidia alle big.

Hamrin era arrivato, appunto, dalla Juve. Con l’etichetta di giocatore fragile e due infortuni al piede destro in poco tempo. Ma Rocco intuisce subito che quel ragazzo ha la stoffa del fuoriclass­e. E quando si infortuna nuovamente durante la fase di preparazio­ne, chiede consiglio al professor Casuccio, ortopedico padovano di grande fama, e si fa realizzare uno scarpino con un plantare protettivo. Funziona, sarà l’inizio di una grande, indimentic­abile avventura. Hamrin è il più giovane della compagnia con i suoi 23 anni, in una squadra zeppa di giocatori molto esperti o al tramonto della carriera. E nel 1958 l’Uccellino svedese difenderà i colori della sua Nazionale ai Mondiali giocati in casa, quelli della finale contro il Brasile di un imberbe ma già favoloso Pelè. Da Padova a Firenze, quindi, nove stagioni dove, tra gli altri, giocherà con il polesano Saul Malatrasi, l’uomo delle due Coppe dei Campioni vinte con Inter e Milan. E proprio al Milan i due si sarebbero ritrovati. «Eravamo come fratelli — ha detto Malatrasi parlando al portale Tuttomerca­toweb— a Firenze abitavamo nello stesso palazzo, davanti allo stadio. Un grande attaccante, se uno sbagliava lui era lì e ti faceva gol». Ora, l’ultimo volo dell’Uccellino di Stoccolma. Ovunque si sia posato, per lui ci sarà sempre una squadra dal tempo infinito.

«L’Uccellino» Leggero, veloce, vedeva sempre la porta: 190 gol in SerieAe titolare aiMondiali in Svezia

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In biancoscud­ato Padova-Juventus 1-1 allo stadio Appiani, Kurt Hamrin impegna Mattrel

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