Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Autonomia, inidifannoscuola Il69% deifondifiniscealSud
I finanziamenti del Pnrr stabiliti in base ai costi standard: è ilmodello dei Lep
Nel giorno in cui il ddl Calderoli avrebbe dovuto essere incardinato in commissione Affari costituzionali alla Camera (invece si andrà a martedì prossimo), l’Autonomia resta teatro di una battaglia campale. Dalla richiesta della Cgil al Quirinale per eliminare l’istruzione dalle materie devolvibili e dall’annuncio di un referendum abrogativo alla manifestazione di protesta a Roma del 16 febbraio organizzata dal governatore campano Vincenzo De Luca, l’approdo della riforma a Montecitorio ha già generato un corposo fuoco di sbarramento al grido di «nessuno tocchi il Sud». Eppure c’è un caso di scuola, quello degli asili nido, che numeri alla mano sembra rovesciare l’interpretazione della riforma come « sacco del Sud». Tanto più che si ragiona di nuovi bandi per ulteriori 25 mila posti.
I nidi si incasellano fra i target del Pnrr e l’investimento su base comunale dell’allora premier Mario Draghi è stato corposo seppur non sufficiente. Si è arrivati quindi a ragionare di fondi aggiuntivi. Ma il 69% di questi ultimi, necessari a rispettare i «livelli standard», «cugini» dei Lep (Livelli essenziali di prestazione che sono il cuore della riforma di Calderoli) è andato proprio ai Comuni del Mezzogiorno, quasi 70 euro ogni 100. La palmava ai municipi delle regioni che partivano con più basso numero di posti nei nidi, Campania e Sicilia che, da sole, si aggiudicano il 42,6% delle risorse. Il meccanismo applicato ai nidi mima esattamente quello dei Lep e dei servizi minimi da garantire su tutto il territorio nazionale. Avendo i numeri definitivi alla mano, qualche ragionamento si può fare. Il fondo iniziale era di 120
milioni per il primo anno per poi crescere fino a 1,1 miliardi a regime e cioè nel 2027. Prendiamo il 2024: in ballo ci sono 230 milioni per circa 30 mila posti. Ed è proprio sul 2024 che spuntano quei numeri inequivocabili: quasi il 70% di quei 230 milioni ha preso la via del Sud. La proiezione, a regime, quindi nel 2027, dice che la Campania otterrà 252 milioni, la Sicilia 217 e così via. In sintesi, su 1,1 miliardi, il Mezzogiorno assorbirà 720,5 milioni, il Veneto 55.
Se ne deduce che i Lep avvantaggeranno le regioni che più ne hanno bisogno, quindi, in molti casi, quelle del Sud. Un elemento che dà di che riflettere: la riforma nata dalle rivendicazioni del Nord e, addirittura, dalla richiesta di trattenimento di parte del gettito fiscale sul territorio rischia di avvantaggiare il Sud. D’altronde, però, proprio i numeri del caso-nidi, lasciano intravvedere
come una sorta di clausola di invarianza finanziaria per l’Autonomia firmata dal ministro Calderoli sia molto lontana. Una coperta corta che rischia di non bastare per tutte le 23 materie ma su questo punto Calderoli ha sempre opposto un mantra: «Non è solo una questione di quantità dei trasferimenti ma anche di come vengono spesi». Affermazione a cui è seguito l’annuncio di uno «screening» delle attuali gestioni regionali. L’onere di far quadrare i conti, è stato assegnato alla Ctfs, la
Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard, che entro quest’anno dovrà quantificare le oltre 200 ipotesi di Lep emerse dalla Commissione Cassese. Non a caso Alberto Stefani, presidente della bicamerale per il federalismo fiscale, dice: «Dipenderà molto dal lavoro della Fabbisogni Standard». Nel frattempo prosegue l’iter del ddl alla Camera. Ieri il relatore di maggioranza, il veneto Alberto Stefani, ha depositato la relazione che aprirà martedì la discussione generale in commissione Affari Costituzionali a cui seguiranno audizioni ed emendamenti prima del voto in aula. Sempre ieri, e sempre Stefani nei panni di presidente della bicamerale sul federalismo fiscale ha iniziato le audizioni con Marco Alparone, vice presidente della Lombardia e Francesco Calzavara, assessore al Bilancio del Veneto.
Alberto Stefani Sulle ricadute dei Lep, molto dipenderà dalla Commissione Tecnica Fabbisogni Standard