Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Negozi, bar, ristoranti: il centro storico tiene preoccupan­o i quartieri

- F.M.

I numeri della demografia d’impresa parlano di un commercio in centro storico che tiene ma che non aiuta a trovare un’identità esclusiva. Il tema, affrontato dal presidente di Confcommer­cio Vicenza Nicola Piccolo su queste pagine pochi giorni fa, è da ieri suffragato in parte dai numeri di un’indagine. Un report che risale a otto mesi fa realizzato da Confcommer­cio nazionale, e che quindi non considera ciò chi si vede in centro e nei quartieri: serrande abbass a te , spa z i vuoti. Anche nel centraliss imo cor so Palladio.

«I dati – spiegano da Confcommer­cio - raffrontan­o la situazione a giugno 2023, rispetto al 2019 e al 2012, con un focus sui vari settori, distinti tra le attività collocate nel cuore della città e quelle in periferia. Risulta così che, guardando a quasi 4 anni fa, le attività del dettaglio collocate in centro storico crescono, da 361 a 375, ossia più 14. Se consideria­mo le realtà del commercio tradiziona­le il saldo, pur positivo, si assottigli­a». Ma sono i prodotti merceologi­ci a definire, o in questo caso a non definire, l’identità commercial­e del capoluogo berico anche sotto il profilo della ristorazio­ne. «A contribuir­e in positivo sull’andamento del centro storico – fa sapere l’associazio­ne di via Faccio - le farmacie e parafarmac­ie (passate da 19 a 23), i negozi di informatic­a, elettronic­a di consumo e telecomuni­cazioni (da 9 a 12), i negozi di articoli culturali e ricreativi (passati da 26 a 29)». Quindi «sostanzial­mente stabili i negozi di articoli per uso domestico (fermi a 34); i supermerca­ti e grandi magazzini (erano 23 nel 2019 sono 22 ora); le tabaccheri­e (una in meno rispetto al 2019); e la grande »famiglia» dei negozi non alimentari come abbigliame­nto-calzature, profumerie, ottici, gioielleri­e (erano 122 nel 2019 ora sono 121). Tutti elementi che convergono sull’idea che nell’offerta del centro storico ci sia molto poco che affondi le radici nella storia commercial­e e produttiva del territorio. Tanto è vero che tra i negozi non alimentari si registra una «perdita». Piccolo, nella consapevol­ezza del problema, guarda però al bicchiere mezzo pieno. Dice: «Le aperture ci sono e vanno anche a rimpiazzar­e i negozi chiusi, almeno nei numeri se non negli stessi luoghi. Dunque c’è la ragionevol­e convinzion­e che questo accadrà anche con le ultime serrande abbassate».

A preoccupar­e sono due elementi. Il primo tocca i pubblici esercizi non hanno recuperato i livelli pre-covid, con i bar (-25 attività) colpiti più dei ristoranti (-14), «nonostante la dinamicità degli ultimi due anni» dice Piccolo. Il secondo tocca le chiusure senza turn over nei quartieri.

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negozi di articoli culturali e ricreativi: da 26 a 29; articoli domestici fermi a 34

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