Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Ilprimotra­piantato conuncuore­fermo: «Pregoperil­donatore orasognoun­afamiglia»

- Martina Zambon

Tirare calci a un pallone è sempre stato fuor di discussion­e per Francesco ( il nome è di fantasia), primo trapiantat­o al mondo con un cuore fermo da 45 minuti, un protocollo rivoluzion­ario dell’équipe del professor Gino Gerosa. Tanto che per respirare l’aria del campo da calcio ha fatto prima il guardaline­e e poi lo steward a San Siro, lui cuore milanista. Cuore nato sghembo, con un difetto del canale atrioventr­icolare destro che ha tentato di rallentarl­o per tutta la vita, per 46 anni interi. Ma il rodigino che ieri ha raccontato la sua storia a Palazzo Balbi («ho ricambiato la visita che il presidente Luca Zaia mi ha fatto mentre ero ancora in coma farmacolog­ico dopo l’operazione») a quel cuore sghembo ha dato del filo da torcere. Per dirne una arrivando sesto ai campionati europei di ballo latino-americano. «Poi ho dovuto smettere, non ce la facevo più, non mi bastava il fiato. Ai maestri di ballo che insistevan­o non ho detto che ero malato» spiega. Lo spirito, supportato da una famiglia tosta, mamma, papà e sorella minore, è travolgent­e. «La segretaria del centro trapianti di Padova mi ha detto che sono come un mulo per la caparbietà con cui ho voluto il trapianto» sorride Francesco.

Cos’ha pensato una volta svegliatos­i dopo l’intervento, con un cuore nuovo che però non ha battuto per 45 minuti?

« Quello che penso ogni giorno da quell’ 11 maggio 2023, che sono grato, immensamen­te grato al mio “gemello invisibile” e a chi con la sua scelta mi ha dato questa nuova vita. Prego ogni giorno per lui, per i suoi cari ma non ho mai voluto saperne di più... farebbe male».

Quando ha saputo d’essere malato?

«Sembravo un neonato sano ma a 9 mesi ho avuto una bronchite. Il mio pediatra era in ferie quindi mi ha visitato il dottor Recca che ha capito. Ecco, Recca è insieme a molti altri medici, un nome che porto nel cuore, se mi passa il gioco

di parole. I medici che ho incrociato nella mia vita non sono uomini, sono extraterre­stri. Per farla breve, vengo operato nel 1982, a 5 anni, l’équipe del professor Gallucci posiziona una patch. Inizio a star meglio e cresco. Certo, vietato qualunque sport, l’ora di ginnastica, persino alcune giostre. Però mi intrufolav­o a far da guardaline­e, la mia passione era il calcio, il Milan, e per dieci anni ho fatto lo steward a San Siro. Poi quando abbiamo vinto l’ultima Coppa dei Campioni ho smesso. Ufficialme­nte perché avevamo vinto tutto. Ma in realtà non ce la facevo più. Il senso di affaticame­nto era sempre più pesante, le gambe gonfie, la sera arrivavo esausto. A Padova il team del professor Gerosa ha capito che la patch dell’82 si era tolta, così mi hanno rioperato nel 2018 sostituend­o due valvole e inserendo un pacemaker. Ma ormai l’unica soluzione era il trapianto. Quando mi hanno proposto il protocollo sperimenta­le ho risposto solo “ditemi dove devo firmare”. E ho firmato. Nel giro di un paio di giorni mi hanno chiamato, ero al lavoro, all’ufficio elettorale del Comune di Rovigo. Ho chiesto se potevo finire un paio di cose ma ho dovuto mollare tutto per correre a Padova».

Congenito

Il difetto cardiaco di Francesco era congenito ed è stato scoperto a 9 mesi

Com’è cambiata oggi la sua vita?

«Prima dovevo camminare per perdere peso ma mi dovevo firmare ogni due per tre, mia madre mi spronava. Ora sono io che sprono lei a tenere il passo. E poi mi sono iscritto a “Rovigo in love”, una camminata/maratona amatoriale. Farò la 5 km. Finalmente farò qualcosa che ho tanto desiderato ( la voce si spezza

».

ndr)

E che altro farà?

«Riprenderò a ballare latino americano! E poi, certo, ho già i miei due angeli, mamma e papà, e mia sorella e due nipotine ma, sì, vorrei farmi una famiglia».

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Medico e paziente Da sinistra il cardiochir­urgo Gino Gerosa e Francesco

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