Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Questa società che vive nell’ansia dei flussi informativi
Ansia da flussi d’informazione che agiscono ventiquattrore su ventiquattro. La società digitale pretende uno stato di coscienza immersivo, dove non esiste più distacco o contemplazione. Frenesia, cioè assenza di stasi che si traduce in una performance sociale continua, dettata da tempi macchinici, tecnologici. Finito e indefinito si saldano nel nuovo «ecosistema ansiogeno» dilatando la percezione sensoriale di un diffuso senso di stanchezza unito ad un rimontante mal di vivere. Qualsivoglia ambito o situazione instilla ansia, al di là, degli aspetti anche positivi rappresentati dall’ansia di crescere, migliorarsi, sperimentarsi in nuovi campi. A dirla tutta, l’altra declinazione dell’ansia risulta essere negletta, rimossa. Prevale, in vario modo, un mood che, forse, per la prima volta dichiariamo apertamente, non so quanto consapevolmente, ma a differenza del comportamento elettorale, dei gusti sessuali, del credo valoriale non riteniamo di ostacolo alcuno il dichiararsi, o più semplicemente ammettere di provare ansia. Tranquilli: non cederò alla tentazione di disquisire sulle causa strutturali del fenomeno.
Mi pare che l’ansia, prima di tutto, sorga dalla consapevolezza dell’ineluttabilità di certi processi. Forma di spaesamento continuo, senza traguardare una soluzione futura. Un rilancio continuo a carte scoperte, di fronte a troppe novità, in mancanza d’inedito. S’avanza un quinto stato, psichico e allo stesso tempo, sociale: «gli eternamente ansiosi». Che le paure, i dubbi siano più o meno fondati, reali non è dato sapere. L’ansia è uno dei grandi collanti contemporanei. Un tema. Un dilemma. Declinandosi a impronta metaforica che più degrada relazionalmente e più incrementa il surplus del diversivo e della distrazione, nel frattempo, simile allo stordimento. Liturgia profana di ciò che offre alla visione l’inedita geografia della tendenza a concepire l’ansia, quale prodotta da nessuna sorpresa, concedere o promettere, contemporaneamente, per troppo ascolto degli umori e delle perplessità. Abbandonata la sorpresa esistenziale e antropologica che ogni atto sociale dovrebbe garantire, infine, incede una percezione all’incontrario che, talvolta distorce, talaltra confonde. Parliamone.