Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Con la figlia ha sottratto 80mila euro al compagno»: tre anni per circonvenzione
Secondo l’accusa avrebbero approfittato dell’infermità mentale della vittima, inducendola a prelevare e ad accreditare sul conto corrente tutte le polizze e gli investimenti, in modo da poter disporre di decine di migliaia di euro. Loro, invece, si difendono sostenendo che l’intera somma è già stata restituita. Si tratta della vicenda che vede come protagoniste Bertilla Mingardo e Sveva Carolina Facco, rispettivamente 75 e 40 anni, madre e figlia di Montecchio Maggiore condannate a quasi tre anni dal Tribunale di Vicenza, dove erano state chiamate a rispondere dell’accusa di concorso in circonvenzione di incapace continuata. Vittima della vicenda il compagno 75enne di Mingardo, al quale sarebbero stati sottratti quasi 80 mila euro.
Stando alle ricostruzioni della pubblica accusa, a partire dal luglio del 2020, con più «azioni esecutive del medesimo piano criminoso», le due imputate avrebbero abusato «dello stato di deficienza psichica» in cui versava la vittima, al fine di procurarsi un ingiusto profitto. Mingardo e Facco avrebbero dapprima indotto l’uomo a compiere prelievi sul conto corrente e quindi a richiedere al proprio istituto bancario di revocare il piano di accumulo e di accreditare sul proprio conto corrente tutte le somme investite in polizze e investimenti, pari a un totale di 75.342 euro, «in modo da poterne agevolmente disporne ed appropriarsene». Un’accusa giudicata credibile dal Tribunale, tanto che lo scorso venerdì le due imputate sono state condannate dal giudice Luigi Lunardon a due anni e otto mesi di reclusione e a 757 euro di multa.
Dal canto loro madre e figlia, difese rispettivamente dall’avvocato Francesca Scarpino e Giuseppe Rando, si dichiarano innocenti e attraverso i legali fanno sapere che ricorreranno in appello. Come spiega l’avvocato Scarpino si tratterebbe di una decisione anomala, la quale presenterebbe parecchie contraddizioni, anche perché l’intera somma è stata restituita alla persona offesa.
La replica
I difensori: «Somme già restituite, una sentenza anomala contro cui presenteremo appello»