Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
GiordanaprotagonistaaVenezia: «Cittàdelcuore(edimianonna) MailnuovofilmègiratoaVicenza»
Ha dato voce a Peppino Impastato, volti e gesti al terrorismo nero veneto, parole e sangue alla coppia d’attori Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, divi della Scalera. E da poco sono finite a Vicenza le riprese del suo ultimo film, La vita accanto, tratto dal romanzo di Maria Pia Veladiano. Il regista Marco Tullio Giordana, natali milanesi, nonna (amatissima) veneziana, sarà venerdì 1 marzo alle 18 all’Ateneo Veneto in Campo San Fantin a Venezia in dialogo con il critico cinematografico Michele Gottardi su «La storia e le storie» nel suo cinema.
Giordana, perché questo interesse per la storia e le storie vere nel suo cinema?
«Sono figlio della generazione che ha fatto la Seconda guerra mondiale. E la guerra era sempre così present e n e i d i - scorsi che sentivo fare agli adulti, che ho sempre pens a to che i grandi eventi che coinvolgono la vita di tutti, debbano essere centrali nel racconto cinematografico».
Lo Stabile del Veneto ha prodotto il suo spettacolo «Pa’», dedicato a Pasolini con uno strepitoso Lo Cascio, che sarà all’Ateneo veneto il 26 marzo.
«Pasolini è stato una figura centrale della mia formazione. Non volendone fare un mito devozionale, mi sono costruito un Pasolini piu personale, piu riservato. Ho incrociato lo stesso interesse in Lo Cascio, uno dei miei attori prediletti. Penso che la sua performance sia incredibile dal punto di vista atletico ed emotivo. E ogni sera è diversa, tanto che non abbiamo voluto farne un film».
Il suo rapporto con Venezia?
«È la città della nonna materna. Venirci, è tornare a casa. Mi piace la lingua, mi sembra di sentire mia nonna che si divertiva a parlare dialetto, un po’ per prenderci in giro. Penso che il dialetto veneto sia come un canto. Il teatro nasce a Venezia e a Napoli, forse è una delle grandi lingue nobili: non ci ho mai visto quell’aspetto ridicolo, comico di certi film: per me è tragicomico. Girare a Venezia Sanguepazzo con Zingaretti e Bellucci è stato molto complicato, non ci si sposta con agilità, la città ha i suoi ritmi e i suoi visitatori, ma meraviglioso. Anche per La vita accanto avevo pensato che si sarebbe potuto girare a Venezia, ma ho dovuto ripensarci immediatamente: troppo caro. Poi per i sopralluoghi, prima di scegliere Vicenza dove il romanzo è ambientato, ho visitato Padova, Treviso, innamorandomi di tutte queste città».
È vero che c’era un altro progetto veneziano?
« Volevo adattare per lo schermo La figlia unica di Yehoshua, ambientato a Venezia. È la storia di una ragazza,
Rachele Luzzatto, che vive nella comunità ebraica. Sono stato a lungo in contatto con l’autore nell’ultimo periodo della sua malattia. Ci facevamo delle lunghissime telefonate in francese, preferibili a quando mi parlava in ebraico e c’era sempre bisogno di un traduttore. Yehoshua era un uomo di una tale dolcezza e di una tale serenità verso la malattia. Ma eravamo nel pieno del periodo Covid ed era davvero troppo complicato realizzarlo».
In «Romanzo di una strage» su Piazza Fontana mette in scena la cellula veneta del terrorismo nero. Che impressione le fece la scoperta?
«Fu sconcertante. Il Veneto per me è Goldoni, Vivaldi, la grazia, l’allegria, lo spirito, il senso dell’umorismo. È quella capacità di lavoro che credo non abbia nessun luogo, forse solo l’Asia. Il veneto è uno sgobbone allegro, il figlio obbediente. Scoprire che si annidava in Veneto un grumo di crudeltà che non ha giustificazione se non nel fanatismo religioso verso tutti, indiscriminato, fu uno choc».
A Venezia ha diretto la Bellucci, com’è stato?
«Monica è un’attrice bravissima. Le feci il suo primo provino al cinema in assoluto nell’89 e la scartai perché era troppo bella per fare l’ambulante, nessuno ci avrebbe creduto. Ma le promisi che l’avrei presa per un altro film. E così è andata».