Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
L’idealista Basaglia cambiò la psichiatria
Famigliavicentina, nacque aVenezianel 1924e abitòa campoSanPolo Con i suoi studi rivoluzionò ogni teoria sulla salutementale
Nato a Venezia l’11 marzo 1924, Franco Basaglia proveniva da una famiglia benestante di origine vicentina che viveva in un palazzo in campo San Polo. Si era diplomato al liceo classico Foscarini, aveva studiato medicina a Padova. Nel mezzo c’era stata la seconda guerra mondiale e lui era finito in galera; era antifascista, sì, ma era stata sua madre Cecilia a farlo arrestare, preoccupata perché saltava da un tetto all’altro di Venezia per sfuggire alla polizia. Si era salvato. Durante l’università aveva letto molta filosofia, da Sartre a Heidegger. Nel 1949 si era laureato, e nel 1952 aveva sposato Franca Ongaro, la sorella dello scrittore Alberto. Ne erano venuti due figli.
Si era iscritto al Partito Socialista Italiano, si era specializzato in Malattie nervose e mentali e aveva preso la libera docenza.
All’Università, però, nessuno metteva in discussione il sistema dei manicomi, che all’epoca pareva immutabile. Basaglia non era d’accordo, gli sembrava (quella) una follia, e decise allora di abbandonare l’insegnamento e di lavorare sul campo. Nel 1961 andò a dirigere l’ospedale psichiatrico di Gorizia. La situazione era disastrosa, le condizioni dei malati abominevoli. Cominciò, da lì, la sua rivoluzione, il cambiamento di paradigma; slegò i malati, togliendo ogni strumento di contenzione, controllando il ruolo di medici e infermieri. Organizzò una festa; per la prima volta i «matti» si erano fatti la permanente, avevano messo la cravatta.
Cominciò con i corsi di pittura, di teatro, cominciò a farli uscire. Era una rivoluzione.
Per la prima volta, i malati di mente erano visti come malati come gli altri, persone prima di tutto. Fu criticato, ci furono momenti difficili, attacchi continui, minacce, denunce. Aveva sempre sua moglie vicino, coprotagonista di quella stagione. Tornavano in macchina a Venezia tutti i weekend. Cantavano Nessuno mi può giudicare, e si fermavano lungo la strada dai rigattieri. Nel 1964, a Londra, Basaglia
aprì il congresso mondiale di psichiatria sociale con un intervento dal titolo «La distruzione dell’ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione», riprendendo la filosofia di Foucault. Il mondo era tutto in fermento. Nel 1967 pubblicò Che cos’è la psichiatria?, nel 1968 L’istituzione negata. Si trasferì a Parma. Nel 1971 fu chiamato a Trieste, dove continuò la sua opera di trasformazione dell’istituto psichiatrico. Era il primo al mondo, studiato da tutti, a partire dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel 1973 fondò «Psichiatria
Democratica » . « Da vicino nessuno è normale», diceva.
Sua moglie continuava a sostenerlo, a scrivere anche lei (per esempio, Manicomio perché?). Erano in due.
Nel 1978, fu proposta al Parlamento italiano una legge titolata «Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori». Estensore fu il democristiano Bruno Orsini. Tutti la chiamarono legge Basaglia, perché puntava a un superamento definitivo del sistema manicomiale. Disse: «Abbiamo dimostrato che l’impossibile può diventare possibile». Era vero. Ce l’aveva fatta. Aveva chiuso i manicomi; una cosa impensabile quando aveva cominciato a studiare, era capitata davvero. Si ammalò nella primavera del 1980, morendo poco dopo, a cinquantasei anni.
Sua moglie Franca finì in Parlamento negli anni Ottanta, visse fino al 2005.
L’implementazione della legge fu complessa e controversa. Ci furono, ci sono, molte difficoltà. Ma quei principi rivoluzionari sono una delle cose migliori che è stata l’Italia del Novecento. Anche oggi sono da difendere, quando nessuna conquista sembra data per sempre.
In Italia, nel mondo, il trattamento dei malati di mente rimane spesso un’emergenza, talvolta inumano e degradante, con tecniche come l’elettroshock o la contenzione spesso ancora lecite, e diffusi abusi di psicofarmaci, anche per pazienti infantili.