Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Il cous cous, i bambini le nostre serate insieme Ci dicevano: sietematti Adesso cimancano»

Viola e la scelta di ospitare la famiglia diAsma eNadir

- Di Francesca Visentin

«Parole che mi hanno fatto molto male. Non avrei mai parlato di questa storia, il bene si fa in silenzio. Ma leggere l’articolo del giornale online della Cgil in cui si prendevano meriti inesistent­i mi ha davvero indignata. Poi da Fillea Cgil si sono scusati dicendo che è stato un errore di comunicazi­one, hanno corretto il tiro…». Antonella Viola, immunologa, professore­ssa di Patologia generale all’Università di Padova, ha deciso di raccontare la storia che in questi mesi l’ha vista in prima linea con il marito Marco Cattalini, al fianco di Asma, Nadir e i loro bambini, famiglia tunisina immigrata a Padova. Costretti a vivere in auto perché nessuno voleva affittare loro un appartamen­to. Dal giornale della Cgil, nella prima stesura poi modificata, sembrava che fossero stati sindacato, Avvocati di strada e Caritas a trovare casa alla famiglia tunisina. Così la scienziata ha fatto chiarezza con un post su Facebook.

Professore­ssa Viola, quando ha deciso di accogliere a casa sua la famiglia tunisina che viveva in auto a Padova?

«Ho letto che vivevano in auto sul Corriere del Veneto e ho sentito che non potevo girarmi dall’altra parte. Una famiglia con bimbi piccoli costretta a stare per strada e nessuno interveniv­a. Sono andata da mio marito Marco, gli ho detto: “Vorrei portarli a casa nostra e trovare una soluzione per loro”. Avevamo dei risparmi da parte, ho pensato che potevamo comprare una casa per loro, aiutarli concretame­nte. Mio marito viaggia molto per lavoro, all’inizio era un po’ preoccupat­o di lasciarmi sola in casa con estranei…»

Com’è stato il primo incontro con la famiglia?

«Li abbiamo fatti venire a casa nostra e abbiamo capito immediatam­ente che erano bravissime persone. Anche mio marito si è convinto subito. Abbiamo una casa grande, i figli studiano e vivono fuori casa, le loro stanze sono libere, c’era tutto lo spazio per offrire ospitalità a Nadir e Asma. Lei era un po’ preoccupat­a per la convivenza, Nadir invece entusiasta, mi ha messo in braccio la piccola e ha detto: “Ecco la nonna”. Un momento tenero, commovente. La piccola è stata subito a suo agio, da quel momento io e Ma rco s i amo diventati “i nonni”».

La convivenza quotidiana come si svolgeva?

«È andato sempre tutto bene, ho dato loro le chiavi di casa. Nadir che lavora come operaio edile usciva alla mattina presto, Asma restava in casa con la piccola. Le ho detto: “Fai quello che vuoi”. Prendevamo il caffè insieme alla mattina, poi io andavo al lavoro e tornavo alla sera. Lei cucinava molto, preparava tante buone ricette della sua terra, il cous cous, il pollo fritto, anche le lasagne. Si era stupita di trovare solo cibi integrali a casa mia… Dopo qualche giorno ho dovuto tornare alla mia solita alimentazi­one healthy, altrimenti sarei ingrassata. Ma alla domenica spesso pranzavamo insieme con le ottime ricette preparate da Asma».

Che rapporto è nato con loro?

«La bimba piccola si è legata tanto a me, voleva sempre starmi in braccio. Anche con il bimbo giocavamo e disegnavam­oinsieme. Le domeniche tutti in famiglia, erano momenti belli, intensi. Nadir e Asma mi hanno raccontato della Tunisia, di quello che li ha costretti a cercare una vita migliore in

Italia. Mi mancano, la casa è triste senza i bimbi che corrono dappertutt­o. Certo è capitato che qualche sera tornavo a casa stanca per problemi di lavoro, non avrei voluto parlare con nessuno, ma invece dover interagire con loro e i bimbi diventava terapeutic­o, mi toglieva i pensieri».

Sapevano che è famosa?

«No, l’hanno scoperto la prima volta che mi hanno vista in tivù. Il nostro accordo era che non avrebbero dovuto rivelare chi li ospitava, non volevo innescare il solito caos mediatico, ci tenevo a tutelarli. Sono convinta che il bene si fa senza sbandierar­lo».

Come siete riusciti a trovare e acquistare la casa per loro?

«È stato difficile, ci abbiamo messo un mese, alla fine abbiamo trovato una soluzione ottimale: una casa singola, libera subito, con un piccolo giardino e due camere per i bambini, comoda a tutti i servizi, con il pediatra vicino. Abbiamo acquistato anche tutti i mobili, così non avevano problemi ad arredarla. Vivono lì e pagano un affitto simbolico, hanno deciso loro la cifra».

Da mesi cercavano una casa, ma nessuno li voleva.

«Sì. Le agenzie immobiliar­i che conoscevan­o bene la loro situazione, mi hanno confermato che i proprietar­i di case appena sapevano che si trattava di una famiglia immigrata con bambini, si tiravano indietro, non li volevano. Molte persone con case vuote hanno detto “no”».

Com’è stata questa esperienza?

«Bellissima, mi ha portata a superare limiti, barriere e paure. Tutti ci dicevano “siete pazzi”, invece per noi era la cosa giusta. Avevamo dei soldi da parte, siamo felicissim­i di avere comprato una casa per loro. Spero che nessuno sporchi questa cosa con commenti stupidi e cattivi. Loro hanno bisogno di stare tranquilli».

Siete rimasti in contatto?

«Certo, ci sentiamo sempre. Marco è andato a trovarli pochi giorni fa. Asma ha trovato lavoro, è felice. Ma non vogliamo essere invadenti, è giusto che vivano la loro vita senza averci sempre intorno».

Mentre cercavate la casa, vi ha aiutato qualcuno?

«Nessuno. Non ho mai visto né Cgil, né Caritas, né istituzion­i o altre associazio­ni. Penso sia indispensa­bile un piano strutturat­o che permetta alle famiglie che non possono comprare una casa e che non riescono a trovarla in affitto di vivere decentemen­te. I Comuni dovrebbero farsi garanti».

I pregiudizi Molte persone con le case vuote avevano detto no, non volevano affittare a stranieri

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