Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Export: ripartel’Ucraina, laRussianoncede Gliartigiani: riapriteicanalicommerciali
Dopo 25mesi di conflitto e sanzioni i duemercati perdono 238milioni. Ma gli scambi non si sonomai fermati
Quell’88% di consensi con cui Vladimir Putin si conferma presidente della Russia è un caso internazionale che scatena polemiche. Le elezioni, contestate da alcuni osservatori, mostrano però chiaramente che dopo due anni di guerra nulla è cambiato e che il leader non arretra, anzi si rafforza. Nonostante la (minoritaria) resistenza interna, nonostante le pressioni diplomatiche, nonostante le sanzioni e le limitazioni economiche, Putin riottiene il comando: nemmeno la guerra l’ha fiaccato, l’effetto politico non c’è stato. Tanto da portare gli interlocutori commerciali a chiedersi: le sanzioni, servono ancora? È una riflessione che spingono soprattutto gli artigiani dato che per la piccola e media impresa quello di Mosca è un palcoscenico importante: «Al mondo russo piacciono i nostri prodotti, abbiamo bisogno di quel mercato che invece rallenta - rileva Roberto Boschetto, presidente di Confartigianato -. L’Italia si era appena ripresa dopo anni difficili, non possiamo fermarci per una guerra che, ad oggi, non vede una fine. Le ritorsioni non funzionano, le sanzioni non pare abbiano portato soluzioni. Guardiamo al 2024 con un grosso punto di domanda, i problemi sono molti. Anche l’Europa dovrebbe interrogarsi e aprire una riflessione profonda».
Può essere utile guardare i rapporti economici del Veneto con la Russia dopo quasi 25 mesi di conflitto con l’Ucraina. Le restrizioni imposte dall’Unione europea pesano, ma non troppo. Il gap complessivo del doppio mercato russo e ucraino è di 238 milioni esportati rispetto a settembre 2021: da 1,2 miliardi a 988 milioni sui dati dei primi nove mesi dei rispettivi anni, l’aggiornamento più recente (dati Istat elaborati de Unioncaprodotti mere). Le sanzioni sembrano quindi aver provocato conseguenza meno ingenti di quanto le dinamiche geopolitiche possano far pensare. Il mercato è andato oltre: dopotutto, le due nazioni in conflitto valevano tre anni fa il 2,4% dell’export regionale, due anni fa l’1,6%, una quota marginale. L’export veneto sembra non averne risentito in ambito generale, registrando anzi + 336 milioni nei primi 9 mesi dello scorso anno, superando i 60 miliardi totali già a settembre.
Una notevole quantità di
delle imprese venete da febbraio 2022 è soggetta alle restrizioni dei confini segnati dall’embargo: non possono più essere venduti tecnologie d’avanguardia, macchinari per il trasporto, tecnologie per la raffinazione del petrolio, beni di lusso, armi da fuoco, prodotti chimici, batterie, beni che potrebbero essere usati per scopi militari, software e droni, tecnologie e servizi per l’industria dell’energia. Nel 2022 l’export verso la Russia è diminuito del 16,7% (-220 milioni) rispetto al 2021 e quello verso l’Ucraina del 33,5% (-123 milioni). L’Istat però ha anche dati aggiornati al 30 settembre 2023: in questi 9 mesi le esportazioni sono aumentate del 54,8% in Ucraina riportando il valore esportato al livello raggiunto a settembre 2021 di 252 milioni di euro; il fronte russo è in calo del 7,3% sul 2022, dopo una diminuzione del 18% dell’annualità precedente, e il valore dell’export passa da 973 milioni a settembre 2021 a 793 nel settembre 2022 per chiudere a 735 milioni di euro nel settembre 2023. Una contrazione che inizia ad assestarsi rispetto al primo anno di guerra. A conti fatti le sanzioni al Paese invasore e le difficoltà di quello invaso non hanno cancellato le linee di dialogo.
Per Enrico Carraro, presidente degli industriali veneti, la preoccupazione che a febbraio 2022 aveva attanagliato le imprese è parzialmente rientrata. «L’incidenza nelle esportazioni di quei Paesi non era determinante per la nostra economia, ma per alcuni settori in particolare, o per alcuni colleghi che avevano canali preferenziali con
I dati di Unioncamere Le due nazioni in guerra tre anni fa valevano il 2,4% dell’export veneto
L’altro fronte Confindustria segnala che l’altro fronte preoccupante è il declino della Germania
quegli Stati - commenta -. Oggi, considerato che molti altri prodotti hanno ancora libera circolazione, il nostro sistema produttivo è più preoccupato per il declino della Germania, il nostro vero partner industriale. E ci preoccupano molto le tensioni in Israele e Cisgiordania, che hanno portato al blocco del Canale di Suez con grande disagio per le nostre importazioni ed esportazioni». Ma a questo punto, con Putin che rimane saldamente al potere e la guerra che non si ferma, le sanzioni servono ancora? «La scelta e il giudizio sono della politica - risponde Carraro -. Imprenditori e imprese hanno fatto questo sacrificio, non possiamo che sostenere l’Ucraina in un momento difficile, anche se non abbiamo la prova di cosa sarebbe successo se quei canali non fos
una commemorazione a Padova.
«Abbiamo organizzato due commemorazioni, c’erano diversi russi e alcuni colleghi, facevo l’uomo sandwich con un cartello che riportava i nomi delle persone uccise dal regime. A Putin fa paura Navalny anche da morto perché era un uomo normale: tutti potrebbero essere dei Navalny».
Dopo l ’ invasione del - l’Ucraina lei ha inviato l’appello degli intellettuali russi ai suoi amici delle università. Come hanno reagito?
«Di quelli rimasti in Russia metà mi hanno ringraziato in modo evasivo, ho capito che esponendosi avrebbero rischiato. sero stati bloccati. E ritengo che sarebbe bene averne un’evidenza. Tuttavia, sono più preoccupato per la situazione di conflitto che per le esportazioni. L’auspicio di tutti è che la guerra finisca: noi facciamo la nostra parte ma quella che per noi è una guerra economica, per gli ucraini è vera».
Riflette Federico Visentin, presidente di Federmeccanica: «La preoccupazione verso la Russia è stata rimossa, preme di più il rallentamento delle relazioni con la Germania e la Cina, di maggiore attualità. Il tema delle sanzioni e delle regolamentazioni è un tema invece sempre presente, soprattutto la transizione ambientale. Decisioni intempestive, o non prese, generano incertezza». Metà ha rifiutato in modo convinto. Uno in particolare, un amico, mi ha insultato definendomi “venduto all’Occidente”, dicendo che chi bada ai diritti umani è un “demente”. Un altro mi ha detto che la Russia vuole salvare l’Occidente dalla decadenza, ma non ammetteva dibattito».
Come ha interpretato queste reazioni?
«La maggioranza ha paura, altri si sono talmente adeguati al pensiero di Putin da spianargli la strada, posso capire la buona fede dei russi comuni ma non di professori universitari che hanno girato il mondo».
Di Putin cosa pensa?
«È un automa intelligente creato dal Kgb. Chi si espone politicamente rischia e per i servizi segreti russi, il fine giustifica i mezzi. In Ucraina, lo dico con dolore, ci vorrebbe l’intervento dell’Europa. Non si può dialogare con Putin che dice di volere la pace ma fa della guerra la sua ragione di vita».
Servo dell’Occidente Cosìmi ha risposto un collega a cui avevo spedito un appello contro l’invasione dell’Ucraina