Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Yassin, promessa dell’atletica «Io sono emi sento italiano»
Nato a Thiene da genitori africani, ha parlato agli studenti
«La mia famiglia si è trasferita in Italia 29 anni fa. Se mio padre non avesse deciso di rischiare tutto e cambiare vita, non avrei avuto l’opportunità di costruirmi questa vita, che è un sogno». Un pizzico di timidezza c’è, ma è la determinazione a farla da padrona: Yassin Bandaogo, giovane promessa (classe 2004) dell’atletica leggera nato a Thiene da genitori del Burkina Faso, si racconta a cuore aperto agli studenti della scuola media Zanella di Padova nell’ambito del progetto sperimentale «Italiani: essere e sentirsi italiani attraverso la maglia azzurra», promosso dalla Fondazione Sport Inclusione Talento in collaborazione con le Fiamme Oro.
Reduce dal recente titolo italiano indoor nei 60 metri piani, conquistato ad Ancona con il tempo di 6 secondi e 69 centesimi, Bandaogo lascia a bocca aperta i ragazzini con la sua storia: «Mio padre si è trasferito in Italia nel 1994 e il suo primo lavoro qui era quello di raccolta dei pomodori nei campi di Napoli. Solo dopo è arrivata mia madre e si sono trasferiti a Thiene, dove sono nato io. La loro storia non è stata semplice e hanno vissuto momenti che ora ricordano con grande fatica. Io ho ottenuto la cittadinanza italiana naturalmente quando, dopo dieci anni di residenza in Italia, l’hanno ottenuta i miei genitori». E ancora: «Lo sport è sempre stato uno sfogo per me, un motivo di estrema felicità. Nel tempo ho capito che solo così riuscivo a definire veramente la mia identità». Una ricerca che però non ha avuto bisogno di essere geolocalizzata: Yassin vive in Italia, sa di essere italiano e non ha bisogno di dimostrarlo o di giustificarlo, un concetto che ribadisce spesso di fronte ai ragazzi. «Io non sono ospite e non mi sento tale. A questi ragazzi voglio insegnare che nessuno avrà mai il diritto di farci sentire fuori posto». A casa la famiglia Bandaogo parla solo in bissa, un dialetto del Burkina Faso ma quando non riesce a spiegarsi, racconta lo sprinter, usa l’italiano. «Il divario culturale affonda sicuramente le radici nel divario linguistico. A parte questo, non riesco a vedere altre differenze tra me ed un qualsiasi studente».
L’incontro, oltre a trasmettere nozioni di diritto, come la differenza tra ius sanguinis e ius soli (che i ragazzi per giunta dimostrano di conoscere molto bene), vuole essere un momento di confronto senza veli, un passaggio dietro alle quinte di una vita che ad ora sembra perfettamache ha alle spalle molti momenti di naturale incertezza e debolezza. Fragilità che però, come spiega lo sprinter, non hanno mai avuto a che fare con le sue origini. «Solo una volta mi hanno descritto usando la parola con la “enne”, quando ancora facevo calcio. Io non ho risposto, dentro di me ho provato rabbia, ma ho pensato che fosse qualcosa da dimenticare. La mia vera scalata è stata quella verso me stesso».
Il velocista
«Il divario culturale affonda sicuramente le radici nel divario linguistico»