Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Pfas, l’Istituto di sanità scrisse di avvisare i cittadini della tossicità»
In aula ex dirigente dell’Iss: «Era il 2013, consigliammo di cambiare falda»
Loredana Musmeci, già dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità, è stata sentita ieri in corte d’assise a Vicenza, nell’ambito del processo contro l’ex stabilimento chimico di Trissino accusato di aver causato la contaminazione da Pfas. A essere imputati 15 ex manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata e inquinamento ambientale. A loro si aggiunge la società Miteni per il fallimento. Alla già dirigente sono state rivolte alcune domande in merito a 2 pareri emessi dall’Istituto nel 2013 e nel 2014 su richiesta del Ministero dell’Ambiente e della Salute.
«Il primo parere ci è stato richiesto dopo lo studio del Cnr (consiglio nazionale delle ricerche ndr) sulle acque potabili, che aveva rilevato la presenza di sostanze perfluoroalchiliche nel Po – ha detto la Musmeci. – Volevano sapere quale fosse il rischio sanitario su un’eventuale esposizione a Pfas. La ricerca è stata affidata ai reparti competenti delle acque, dottor Luca Lucentini, e del reparto tossicologico, dottoressa Emanuela Testai». E già in questo primo parere emerge qualcosa. «All’epoca le conoscenze sui Pfas erano meno approfondite di ora – ha continuato – ma si sapeva, e lo abbiamo inserito nel parere, che avevano interferenze endocrine, provocavano malattie metaboliche. Si cominciavano a vedere anche degli studi su un possibile rischio cancerogeno, ma non era ancora conclamato». «All’epoca avevamo rapporti non solo con il Ministero – ha sostenuto la dottoressa - ma anche con la Regione, le Ulss e l’Arpav e avevamo detto che la contaminazione non andava taciuta, per la tossicità delle sostanze e i possibili rischi bisognava informare la popolazione. Avevamo anche suggerito di cercare delle falde sotterranee alternative per l’acqua potabile e di iniziare subito la depurazione delle acque da queste sostanze, che non era facile e costoso. L’unico sistema realizzabile, e poi applicato, era quello dei carboni attivi».
Ma al 2013, ancora nessun limite era stato messo alle acque potabili. «I limiti li abbiamo dati nel parere del 2014. Ci siamo confrontati con quelli espressi dalle agenzie internazionali, soprattutto Efsa (autorità europea per la sicurezza alimentare ndr), e siamo stati ancor più restrittivi. Loro calcolavano una dose tollerabile quotidiana nell’acqua potabile sulla base del 10% di assunzione per un uomo di 70 chilogrammi, mentre noi avevamo considerato il 10% in relazione a un bambino di 10 chilogrammi, arrivando a indic a re limiti pari a 0,3 microgrammi litro per i Pfos e 3 microgrammi litro per i Pfoa». Sullo sviluppo di altri studi condotti dall’Iss e i loro risultati, però, la dottoressa Musmeci non ha saputo dare spiegazioni. Lei, dal 2016, si trova in quiescenza.