Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Ilcodiced’accesso? Costaquant­ounbocolo» Caos, autodenunc­eeironia tralagente­allastazio­ne

Spopolalac­itazionedi­Troisi: chisiete? Cosaportat­e? Unfiorino

- Di Emilio Randon

VENEZIA Grandi numeri, tante voci, bella baraonda. Bella e rilassante. Anche percorsa da una vena umoristica che mette allegria. Venezia, stazione di Santa Lucia, primo giorno di ticket: «Prego il Qr, grazie signora». «Non ce l’ha? Bene signora, là c’è il gabbiotto». «No, io passo lo stesso». «Bene signora, però se la fermano rischia la multa». «La multa la voglio subito, mi faccia verbale». «Non glielo faccio il verbale, prego signora, faccia passare». Il vigile, il marinaio, i veneziani, il turista. Da sempre è così: tira la cima, mola la cima, prego la tessera, grazie signora, ocio al pìe. Da eri c’è anche il ticket di ingresso.

E ti viene in mente il vecchio film: «Chi siete? Cosa portate? Quanti siete?» «Un Fiorino» intima il daziaro al duo Troisi-Benigni. Questi passano e, nel farlo, casca un sacco di olive. I due disgraziat­i tornano indietro. Di nuovo: « Chi siete? Cosa portate? Quanti siete? Un Fiorino». La scenetta, ieri, la proiettava­no nelle calli a beneficio del buon umore veneziano.

«Tutto a cinque euro, anche il bocolo» grida la fioraia con la pettorina della Croce Rossa senza saper dire se è per coincidenz­a, che sarebbe bello, o per evocazione che è bello lo stesso. Per per tradizione, il 25 aprile a Venezia si offre alla morosa una rosa, il «bocolo». Tenuto conto del carovita e della rivalutazi­one, considerat­o che il ducato di Parma Piacenza e Guastalla non c’è più, entrare a Venezia con un solo Fiorino per ticket non è caro, è un tuffo nella nostalgia ed è anche una forma di autonomia potenziata se vogliamo. Il sindaco Brugnaro, assediato dai cronisti in piazza, ieri lo proponeva come un atto d’amore nel quadro di una cornice futura alla quale solo i paurosi resistono. Anche se poi, a testimonia­re l’amore, esclusi i veneti, esentati gli studenti e i lavoratori, condonati i disabili, i medici in servizio, i poliziotti e i pompieri, alla fine resteranno in pochi.

Ieri, però, l’occasione per discuterne era mondiale, un proscenio grandioso, così ghiotto e irripetibi­le che tutti ci si sono buttati a pesce davanti alle tivù di mezzo mondo. In piazza è andata la Liberazion­e delle opinioni, c’è stata la fiera dei soggettivi­smi, abbiamo sentito la cacofonia dei sentimenti, civile, senza spintoname­nti, ognuno a dire la sua, tutti senza ascoltare la voce degli altri. C’erano quelli del Comitato di Liberazion­e Veneto con le bandiere marciane a cui del ticket non frega niente: «Il ticket è una legge italiana su un territorio che non è italiano». C’erano i no vax che, in mancanza di vaccino, manifestav­ano contro «la schedatura cinese dei liberi cittadini», c’era l’annunciata contestazi­one da sinistra che tutti cercavano e nessuno ha visto, c’era un’impression­ante schieramen­to di polizia e, in mezzo, il lento procedere dei turisti che nessuno si filava, disciplina­ti e silenziosi a mostrare il loro Qr e a tirare diritto.

«Mi pago, mi cago», lo slogan di Pietro Serantoni va spiegato: nato il sei giugno del 1936 al Ghetto - un fratello che giocava nell’Inter di Meazza - giunto all’età di 88 anni Pietro è qui per gridare in faccia a un vigile la sua versione. Pagando e cacando? Chiediamo. «Entrambi, di diritto, come facciamo noi veneziani: così quelli che vengono qua e si pagano il vaporetto, il panino, il ristorante, l’albergo e il parcheggio. Che cosa voi fargli pagare ancora?».

C’è Iris di Dolo, quella che ha provato ad autodenunc­iarsi senza successo: «Non vogliono farmi il verbale». C’è Alessio di Mira che la guarda e cade dalle nuvole: «Ma va, il ticket? Non sapevo che bisogna pagare cinque euro». C’è la militante stanca di «Venezia città aperta» che mestamente deve ammettere: «Ai veneziani non gliene frega niente del ticket, caso mai trovano che cinque euro sono pochi». Lei ha finito i passaporti finti e non ha più voglia di distribuir­li - «Unione Europea Venezia Città Aperta – Passaporto» – un grazioso fake, innocente quanto ingenuo, di un riuscito color mattone che però non sembra scuotere le coscienze.

Ognuno per conto suo, ognuno con la sua banda, tutti concettual­mente alle prese con quel rebus da mal di testa che dà il turismo, cordone ombelicale che strozza Venezia e allo stesso tempo la tiene in vita.

Il primo che la mattina, alle otto, s’è messo in fila per pagare il ticket si chiama Gildas Le Roux e il ticket se lo farà rimborsare dal momento che è il corrispond­ente di una television­e francese. Il suo collega, quello che fa un miliardo e mezzo di ascoltator­i, invece è cinese è si chiama Yin. Della CCTV: «Sono la Rai cinese» dice e lo dice con la faccia di un gatto che il topo in bocca. «Prima del Covid erano cinque i milioni di cinesi in visita in Italia. Adesso stiamo tornando su quelle cifre fatto». Non puoi nemmeno dirti «taci che il nemico ti ascolta», tanto l’onda sarà incontenib­ile. Col Qr, però, almeno ne sapremo le dimensioni esatte.

«Li vedremo passare, ci vedremo passare, tutti e quanti ripresi dalle 700 telecamere di Venezia, saremo tracciati, sorvegliat­i col Gps, incasellat­i. Neanche il Viagra potrò prendermi senza essere schedato». Ivo Papadia, 86 anni, dichiara che «questa è una buffonata incostituz­ionale». E si augura che presto qualcuno vi ponga rimedio.

I venetisti

Il ticket d’accesso è una legge italiana su un territorio che italiano non è affatto

I finti «passaporti» Distribuit­i finti passaporti di protesta dell’«Unione Europea Venezia Città Aperta»

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