Corriere dell Umbria

Intervento sbagliato, è guerra per il risarcimen­to record

- Di Marina Rosati

▶ PERUGIA - E’ pronto a essere depositato il contro ricorso in Cassazione e il ricorso incidental­e dell’avvocato Enrico Biscarini contro l’Unità sanitaria locale n. 1 - Azienda sanitaria della Regione Umbria che ha già fatto istanza alla suprema Corte in merito alla sentenza della corte d’appello di Perugia che ha condannato la stessa Usl 1, nella persona del direttore sanitario, al pagamento a titolo non patrimonia­le della somma di più di 722mila euro, oltre agli interessi legali sulla somma svalutata all’agosto 1999 e rivalutata di anno in anno secondo gli indici Istat, oltre alle varie spese di giudizio. L’importo, visto che la questione risale a quasi 20 anni fa, si aggira intorno al milione di euro. Una vicenda di presunta malasanità che vede coinvolta una donna Lucia T. che al tempo dei fatti aveva 37 anni e che nel 1998 si sottopose a una serie di accertamen­ti diagnostic­i ambulatori­ali, in ragione della persistenz­a di una sindrome algica-lombare e a una operazione chirurgica a Città di Castello che le ha prodotto gravi conseguenz­e fisiche oltre alla perdita del lavoro. Tutto inizia quando la donna, dopo una serie di accertamen­ti, veniva ricoverata il 26 maggio del ‘99 al reparto di Ortopedia dell’ospedale tifernate dove, nel settembre dello stesso anno, le venivano applicati degli ammortizza­tori interspino­si Diam, dei disposi- tivi vertebrali il cui brevetto risale però al 2005. Quella che pensava essere la fine dei suoi problemi è diventato invece l’inizio di un incubo che l’ha portata a muoversi con l’ausilio di una sedia a rotelle, a portare una cosiddetta molla di codivilla a sinistra per tendenza del piede a ruotare verso l’interno, assumere in modo regolare Palexia da 300 mg e portare una pompa per l’infusione continua di antidolori­fici. Dopo l’intervento la donna ha infatti iniziato ad avere continui dolori e conseguenz­e negative come episodi di irritazion­e dell’arto sinistro inferiore. Diverse le operazioni subite successiva­mente sia alla Clinica del lavoro e della riabilitaz­ione di Pavia che all’Unità spinale unipolare dell’Azienda ospedalier­a di Perugia. “Questo, a grandi linee, il percorso post operatorio della signora - spiega l’avvocato Biscarini - che partita da una diagnosi, relativa alla colonna lombo sacrale di ‘iniziali segni di artrosi intersomat­ica” senza ernia discale è giunta a una quasi totale immobilizz­azione accompagna­ta da dolori difficilme­nte controllab­ili anche con una pesante e ininterrot­ta terapia farmacolog­ica”. Nella sentenza della Corte di appello di Perugia viene preso in consideraz­ione l’operato dei sanitari ai quali si imputa una non corretta comunicazi­one dei rischi a cui la paziente andava incontro e soprattutt­o, secondo quanto prodotto dai Ctu, i consulenti tecnici d’ufficio che la paziente, prima ancora di venire sottoposta a intervento chirurigic­o, avrebbe dovuto affrontare una terapia riabilitat­iva finalizzat­a a correggere l’alterazion­e posturale riscontrat­a. Nella relazione dei due profession­isti viene messo poi in evidenza la mancanza di studi sufficient­emente numerosi sull’installazi­one dei Diam. La storia è finita anche all’attenzione di Cittadinan­zattiva e dello specifico del Tribunale del malato e ora l’avvocato Biscarini, dopo la comunicazi­one dell’Azienda Usl Umbria 1 del ricorso in Cassazione, ha pronto il contro ricorso e ricorso incidental­e, “considerat­o che l’ultima consulenza tecnica di ufficio ha riconosciu­to che la perdita di lavoro della mia assistita è stata determinat­a dalla patologia derivante dall’erroneo intervento chirurgico”. ◀

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