Limo, il Tar dà ragione ai cavatori
La Provincia aveva vietato di vendere il materiale residuo
Si chiama acrilammide, viene usato nelle cave di ghiaia e di sabbia, c’è il sospetto che sia cancerogeno ed è finito al centro di un divieto e un ricorso al Tar. E infine in una sentenza che ha dato torto alla Provincia di Bergamo e ragione alla cava Suriana di Bagnatica. Il tutto ruota attorno al procedimento di lavaggio, che con la selezione e la frantumazione fa parte del processo in atto nelle cave, e separa ghiaia e sabbia da commercializzare dal materiale troppo sottile per essere utilizzato. Per poter riutilizzare l’acqua bisogna eliminare il limo rimasto in sospensione. Visto che per le vasche di sedimentazione serve tempo e spazio, vi si aggiunge un addensante che aggrega le particelle fino a quando una filtropressa le trasforma in pannelli che possono essere venduti all’edilizia. La Provincia di Bergamo ha però rilevato che un componente dell’addensante produce l’acrillamide, sostanza che in certe concentrazioni può essere cancerogena. Ha quindi deciso che il limo non è un sottoprodotto ma un rifiuto, e quindi non può essere venduto ma smaltito. Di qui il divieto e il ricorso. Nei giorni scorsi il Tar di Brescia ha dato ragione alla cava. «La legge non indica limiti per quella sostanza, ma non è che per questo diventa un rifiuto — commenta Francesco Castagna, direttore dell’Anepla, associazione dei cavatori —. Avrebbe comportato costi altissimi di smaltimento e un danno ambientale, perché sarebbe finito in discarica. In Francia l’inquinamento è stato escluso. E in Italia la Provincia di Bergamo è stata l’unica a sollevare il problema». «E ne siamo fieri — risponde Renato Righetti, responsabile del Servizio cave provinciale —. La normativa italiana non ha limiti di accettabilità della sostanza. Abbiamo chiesto un parere al ministero dell’Ambiente e alla Commissione europea: il primo non ha risposto, la seconda sì ma non in modo specifico. Ora il Tar ci dice di basarci sui parametri delle malte da iniezione ed esclude tossicità sotto certe quantità. Avremmo preferito un parere del ministero e non quello del Tar che ragiona in termini amministrativi. Noi volevamo solo are chiarezza».