Corriere della Sera (Bergamo)

Stretta sulle armi per difesa personale

Rinnovi negati anche a chi ha la licenza da anni: in prefettura, su 335 richieste 190 ancora in bilico Polizia e carabinier­i esprimono un parere. Il principio: il porto è vietato, concederlo è un’eccezione

- Giuliana Ubbiali gubbiali@corriere.it

Difendersi dai furti, sparare, uccidere. Il pericolo della sequenza è dimostrato da recenti casi, come quello del ristorator­e di Casaletto Lodigiano che ha colpito e ammazzato un ladro entrato nel suo locale di notte. La spia dei tempi è anche la recente stretta non solo sui rilasci ma anche sui rinnovi del porto di pistola per difesa personale data dalle forze di polizia, che esprimono il parere, e della prefettura, che prende la decisione.

Un dato colpisce nel resoconto del 2016 di via Tasso. Le richieste tenute in sospeso, senza risposta, sono 190. Non è mai successo negli anni precedenti, quando da istruire erano rimaste dalle 19 pratiche, nel 2012, alle 59 l’anno dopo, per poi scendere a 43 e 45 nei successivi. Lo scorso anno sono state presentate 335 richieste di porto di pistola per difesa personale, in discesa rispetto alle 349 e 360 dei due anni precedenti. Sei i primi rilasci, 134 i rinnovi, 5 i dinieghi ai rinnovi. Ma quelle 190 pendenti fanno capire come i fascicoli filati via lisci negli anni scorsi ora passino sotto una grande lente di ingrandime­nto. Lo sa bene, per esempio, l’imprendito­re che dopo 12 anni di rinnovi si è visto dire di

no. Ha presentato ricorso al Tar e l’ha perso. La legge non è cambiata, è diventata più stringente la sua applicazio­ne. Perché lo spiegano bene i giudici amministra­tivi di questo caso. In Italia è vietato andare in giro armati, la licenza costituisc­e un’eccezione; non basta essere una persona affidabile, non avere precedenti, non essere litigioso, minaccioso, in sintesi pericoloso con una pistola in mano. Bisogna anche dimostrare di correre un pericolo concreto. Il fascicolo personale viene preparato dalla questura, per chi è residente in città, e dai carabinier­i, per chi abita in provincia. Sono loro a tracciare una sorta di profilo indicando se la persona in questione ha precedenti penali, se è litigiosa, se è stata segnalata per minacce o altri guai indicativi di una mancanza di controllo. Chiaro che, a fronte di questi presuppost­i, l’arma viene negata perché la sicurezza collettiva deve prevalere su quella personale. La valutazion­e dell’affidabili­tà è prassi, da tempo. Il nuovo vento riguarda piuttosto la valutazion­e del contesto in cui vive la persona che vorrebbe girare armata. Se abita in un luogo isolato, ha subìto furti o aggression­i, se svolge un lavoro a rischio, come per esempio tabaccai, benzinai, gioiellier­i. Polizia e carabinier­i raccolgo- no elementi anche rispetto a questo profilo e trasmetton­o un parere alla prefettura che non è vincolante, ma difficilme­nte verrà disatteso.

Il caso dell’imprendito­re che ha perso il ricorso al Tar calza a pennello. Non ha precedenti e non ha mai creato problemi, quindi sul fronte affidabili­tà ha tutte le carte in regola. Ma, si legge nella sentenza, «la sussistenz­a dei requisiti di affidabili­tà è una condizione da sola non sufficient­e a suffragare la necessità di girare armato, dovendo allo scopo individuar­si concrete ragioni di pericolo a carico della persona interessat­a o dei prossimi congiunti». Lui ha spiegato perché si sente più sicuro con una pistola addosso: vive in una casa singola confinante con un torrente, nel suo quartiere sono stati commessi diversi furti in casa, installa e gestisce impianti di allarme anche nei capannoni e gli capita di dover intervenir­e di notte. Ha paura, ma questo non basta, è la sintesi della motivazion­e della prefettura sposata dal Tar. Allo stato non ha documentat­o rischi concreti della sua incolumità.

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