Fucile negato dopo 6 anni di licenza «Vecchi precedenti». Ma vince al Tar
Detenzione illegale di armi e munizioni, minaccia, accensioni pericolose, calunnia. In questa lista di precedenti penali si possono trovare diversi motivi per non permettere a una persona di portare a spasso un fucile, nemmeno se il tragitto che percorre è strettamente limitato da casa al poligono di tiro e ritorno.
Così è stato, infatti, per un bergamasco a cui la prefettura, sulla base della nota della questura, ha negato il rinnovo della licenza. Fin qui fila tutto liscio. Se non fosse che l’uomo presenta ricorso al tribuInfatti. nale amministrativo regionale di Brescia, facendo presente che il porto di fucile gli era stato rinnovato fin dal 2010, e il tribunale gli dà ragione.
Il motivo è che la forma in questo caso ha superato la sostanza. I precedenti penali nel vero senso del termine, cioè con condanne definitive, sono cause ostative al rilascio, dunque anche al rinnovo della licenza. Come si può dare in mano un fucile a un uomo che si è reso colpevole di accensioni pericolose e minaccia, solo per citare due reati? Come può essere affidabile? Solo che i precedenti risalgono al 1995 e al 2000, dunque, fa presente il diretto interessato, erano noti alla questura e alla prefettura fin dal primo rilascio. Perché allora — obietta — ripescarli solo ora?
Per altro, nel 2013, a fronte delle stesse obiezioni e delle stesse memorie difensive, la licenza gli era stata rilasciata. Nel frattempo non è emersa nessuna novità. «Il provvedimento di diniego impugnato appare inficiato sotto il profilo motivazionale», scrivono i giudici delle seconda sezione del tar presieduta da Alessandra Farina. «Se è pur vero che l’amministrazione è pienamente legittimata ad assumere un provvedimento di diniego di rinnovo del titolo di polizia, anche nel caso in cui in precedenza aveva sempre provveduto in senso favorevole all’interessato, tale diversa decisione deve trovare adeguata motivazione», si legge nella sentenza.
Ricorso accolto, diniego respinto. Non è detta l’ultima parola, però. Lo scrivono i giudici, sul finale: «restando, ovviamente, fermo il potere dell’autorità amministrativa di adottare nuovo, motivato, provvedimento che regoli adeguatamente la vicenda per cui è causa».