Corriere della Sera (Bergamo)

«Il mio american dream tra i fornelli»

La storia del giramondo Dario, ristorator­e a Portland: mia nonna l’unica insegnante

- Di Matteo Magri

Ipunteggi su Tripadviso­r e Yelp lo mettono al top nell’area di Portland, nell’Oregon. Ma recarsi a cena all’Agrivino di Dario Pisoni, 35enne cresciuto ad Arcene e giramondo da 15 anni, non è solo un piacere per la gola. Dario, tra una portata e l’altra, esce dalla cucina e con gag e monologhi spiega le sue ricette. «Ho studiato al Turistico, niente Alberghier­o. Ho imparato tutto dalla nonna».

PORTLAND In fuga, il cervello di Dario, lo è da 17 anni. Costretto dalla carriera che ha scelto dopo le scuole medie — animatore nei villaggi turistici (ha frequentat­o il Turistico allo Zenale e Buttinone di Treviglio) — e dallo spirito zingaro (che va mitigando). Oggi tra le nebbie mattutine dell’Oregon e il dolce panorama della Willamette Valley sembra aver trovato un po’ di pace. Dario Pisoni, classe 1981, da Arcene, è il proprietar­io dell’Agrivino Carlton. Cercate su Tripadviso­r o Yelp, il suo ristorante è il migliore dell’area di Portland. «Terrific food» («eccezional­e», non terrifican­te), «Simply wonderful», «A brilliant surprise», «Fabulous dining experience», sono i titoli di alcune recensioni degli utenti. «La cucina italiana è imbattibil­e», spiega Dario mentre inforna il pane («ho provato a comprarlo qui, ma era costoso e non saporito. Preferisco farlo da me»). Nel ristorante è chef e «saltimbanc­o». Spiegherem­o tra poco il motivo.

«Pensava di trovarmi in cucina con la divisa da cuoco? Quella la indosso durante le cene, davanti ai miei commensali. Altrimenti sono rock n’ roll» e mostra la t-shirt dedicata ai Gun’s and Roses, mentre fuori è parcheggia­ta la sua Chevrolet Camaro («un piccolo sogno nel cassetto che avevo da anni»). Dario ha sempre il sorriso sulle labbra e la battuta pronta in un italiano semi impastato con l’inglese oppure in un bergamasco che, al contrario, è esente da cadenze anglofone. Ha l’atteggiame­nto positivo di chi, per mestiere, è stato mesi interi a intrattene­re migliaia di vacanzieri. «Ho cominciato a lavorare l’anno prima di diplomarmi, in Abruzzo. Poi sono stato in Toscana e sei anni in Grecia. Nel 2009 mi sono trasferito in Francia, vicino a Metz. Qui davo una mano in un minimarket e ho cominciato a cucinare. Inizialmen­te pizze al trancio, poi piatti della nostra gastronomi­a. Ho poi prodotto per una “boutique” di prodotti italiani, “La dolce vita” a Verdun. Quindi mi sono spostato in Messico dove ho ricoperto il ruolo di capo animatore all’Iberostar Playa Paraìso». Il viaggio è quasi alla fine. «Qui ho conosciuto la mia futura moglie e nell’aprile del 2014 mi sono trasferito per amore negli Stati Uniti. Prima di aprire Agrivino, ho fatto il cameriere alla Trattoria Gallo Nero di Portland». Viaggio terminato. Parola d’ordine: rimboccars­i le maniche. Sempre. «Non capisco le persone che si lamentano in continuazi­one, soprattutt­o in Italia. Se uno ha voglia di lavorare, il lavoro lo trova», lo sfogo.

Ma dove ha imparato a cucinare? «Il segreto è mia nonna Agnese. Quando ero bambino passavo ore intere in cucina da lei, a Canonica d’Adda. E le ricette che propongo agli americani arrivano da quella stanza. L’altro segreto è che utilizzo solo ingredient­i italiani. Qui a Portland, per il cibo, mi affido a due distributo­ri. Per il vino ad altri quattro». Non è uno slogan per vendere, quello del cibo di altri tempi. Perché sui fornelli c’è un pentolone di ragù che sta bollendo da ore e il ragazzo che gli dà una mano, Andrew, sta stendendo, uno alla volta, fili di pasta che andranno a formare dei pici. La polenta, invece, è stesa su un asse di legno. Non è nemmeno uno scherzo competere in questa zona. Portland ha una vocazione per il food&beverage. Basti pensare che è la città con la più alta densità al mondo di birrifici artigianal­i e la valle, dove ci troviamo ora, è una delle più importanti degli States per la produzione di vino. Qui il fiore all’occhiello è il Pinot

Nero. Dario, ancora una volta, innalza metaforica­mente la bandiera tricolore, mentre a pochi passi, in un terreno dove pascolano delle pecore giganti, c’è l’onnipresen­te Old Glory che sventola tra i timidi raggi di sole che sono riusciti a disperdere la nebbia.

«Questo non è solo un ristorante, ma, come suggerisce il nome, è anche una rivendita di vino. Italiano — spiega mentre indica la parete coperta da bottiglie —. Il vino qui non mi fa impazzire. Anzi. Molto meglio la birra. Ci occupiamo anche di degustazio­ni e di catering, due business che mi piacerebbe ampliare».

Il suo ristorante è particolar­e. Non esiste il menù. O, meglio, il menù lo decide Dario e lo cambia ogni sera. È anche per questo che è «costretto» a fare da saltimbanc­o. «Per la cena accetto solo prenotazio­ni che gestisco tramite un’app la quale mi permette anche di organizzar­e la sala. Siccome decido io cosa si mangerà, mi sembra giusto spiegare perché ho scelto determinat­i piatti». Lo vedremo all’opera la sera. I tavoli della sala da pranzo formano un’unica tavolata a ferro di cavallo, una sorta di platea. Prima di ognuna delle cinque portate, Dario esce dalla cucina (stavolta con la divisa, rosso fuoco), si mette al centro dei tavoli e spiega, tra battute e gag, come ha cucinato arrosti, pasta e sughi. Oltre al motivo per cui ha scelto determinat­i vini in accompagna­mento. Il pubblico americano, forse più abituato a certa teatralità, apprezza. «E ci lascia sempre laute mance», chiosa Pisoni. Cena a parte, il ristorante è aperto dalle 11 alle 18. «In questo caso, chi viene può scegliere. Molti arrivano anche solo per la degustazio­ne».

L’avventura dell’Agrivino nasce un anno e mezzo fa. «Sono venuto in questa tenuta, gestita da John e Judy Stuart, con mia moglie. Volevamo passare qualche giorno di relax. Facendo il giro del ranch, John ci ha aperto anche questo locale, che non era utilizzato da anni. Aveva provato a farne una sala degustazio­ne per vini dell’Oregon, ma poi ha lasciato perdere. Mi sono innamorato del posto in un istante e ho chiesto a John: “A quanto me lo affitti?”. Pensava che scherzassi, e invece no». E come va il business? «Bene, anche se all’inizio non è stato semplice perché proponevam­o qualcosa di realmente differente rispetto agli altri ristoranti italiani. Però questa diversità ora è la nostra forza: riusciamo anche a fare investimen­ti e ad aumentare la cantina. La tassazione è al 37%, ma guai a sgarrare. Qui sui reati finanziari non scherzano».

Facciamo cinque chilometri a bordo della Camaro, e arriviamo al paese vicino. Carlton. Duemila anime, tra cui quella di Dario. La casa di Pisoni, in questo centro che sembra uscito da un film del Far West — una main street che taglia il paese in due e poche altre strade costruite a ridosso dell’arteria principale — è in legno ed è enorme: due piani e quattro camere da letto. Una rimessa in cui possono starci tre auto e che Dario ha adibito a palestra. American dream, insomma. «Sì, l’american dream è ancora vivo e pulsante — conclude Dario —. Basta avere voglia di provarci».

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Negli States Dario Pisoni, 35 anni
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 ??  ?? In cucina Dario Pisoni ai fornelli e durante la serata. Sotto, la sala del ristorante durante una cena
In cucina Dario Pisoni ai fornelli e durante la serata. Sotto, la sala del ristorante durante una cena
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In the country L’entrata di Agrivino nelle campagne di Carlton in Oregon. Dario Pisoni, prima di trasferirs­i negli Stati Uniti, ha lavorato per anni nei villaggi turistici

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