Numeri da record Saviano lancia la Fiera dei librai
Il suo motto è «le parole servono per mettere ordine nel mondo e diminuire la quantità di sofferenza che c’è negli esseri umani», come riporta in «L’amore che mi resta». Perché Michela Marzano scrive quando è «confrontata all’urgenza e c’è del disordine. Solo con le parole si ritrova il filo perso della matassa». Come fa Giada, la «co-protagonista» del nuovo romanzo, edito Einaudi, anche l’autrice mette una nota a margine dell’intervista. «Io non sono né Daria, né Giada, né Giacomo e nessuno dei personaggi, ma il punto di partenza è autobiografico — spiega —. Come raccontavo in Volevo essere una farfalla (libro edito nel 2011, ndr) avevo tentato il suicidio e quando sono stata meglio, per molto tempo mi sono chiesta come avrebbe reagito mia madre e se sarebbe sopravvissuta alla mia perdita. In questo romanzo cerco di mettermi al suo posto, con la doppia difficoltà di narrare un dolore che non conosco non essendo madre, nel tentativo di scrivere un romanzo come fosse una carezza consolatoria per lei. Ho scritto il libro che avrei voluto che leggesse se fossi morta». Il libro parte da un dolore irreparabile, quello di Daria, venuta a sapere del suicidio della figlia adottiva Giada. Ha inizio una scrittura asciutta, per certi versi ossessiva, come a volere riportare il tormento di una madre che non si dà pace per la perdita di un figlio, tanto che «non c’è parola per descrivere quel vuoto abissale che si spalanca — continua Marzano —. Quali termini trovare per qualificare una madre che perde un figlio? Lo sforzo è stato quello di cercare le parole per attraversare questo lutto». Il lettore è condotto su un doppio binario, steso su una stessa direttrice: il rapporto tra madre e figlia, tra assenza e presenza. Perché la perdita diventa occasione per recuperare le relazioni effettive, quella di Daria con la figlia, con il marito, con il secondo figlio Giacomo. «Nella mancanza ci sono aspetti di presenza, attese, desideri e un forte sentimento di amore — afferma l’autrice —. Racconto l’amore che resta. Attraversando il vuoto restano motivi per rimanere in vita, come quello che si è imparato, il ricordo e la consapevolezza che l’amore non può riparare l’irreparabile. Si racconta il vuoto che ci portiamo dentro». E Marzano ammette: «A differenza dei saggi, che scrivo velocemente, per questo romanzo ci sono voluti anni. Erano più le volte che cancellavo, perché ogni volta non andava bene, dovevo andare più lontano. Volevo immedesimarmi sino in fondo in due condizioni che non conosco: la maternità e la perdita radicale. Come ogni essere umano conosco l’abbandono, ma ho cercato di spingere questa analisi oltre, nel tentativo di sfiorare le pareti di questo vuoto».