Il «Biscio» sparito, un anno di misteri «Faceva affari per 40 mila euro al mese»
Il retroscena sul «Biscio» Fabrizio Garatti emerge da un’inchiesta per evasione fiscale su un amico
Nel pollaio dei suoi genitori i carabinieri avevano trovato 1 milione di euro in contanti. Una cifra che probabilmente non aveva stupito i parenti di Fabrizio Garatti, detto Biscio, scomparso il 26 maggio dell’anno scorso. Dalle intercettazioni che hanno fatto nascere un’altra inchiesta per evasione fiscale, emerge infatti che la moglie di Garatti sapeva di entrate garantite dal marito per circa 40 mila euro al mese. La stessa cifra veniva incassata dal «sodale» Stefano Garatti, non parente: è stato arrestato come capo di un’associazione a delinquere finalizzata all’evasione.
Che fine abbia fatto non si sa. Di certo Fabrizio Garatti faceva girare tanti soldi che arrivavano da canali più che sospetti, quasi in contrasto con quell’aria da impiegato consegnata al pubblico dalla sua ultima foto tessera. E, anche per i suoi familiari, quel milione di euro in contanti scovato dai carabinieri sotto il pavimento del pollaio dei suoi genitori, non era stato probabilmente una sorpresa. Detto Biscio, 44 anni, originario di Costa Volpino ma di casa a Gratacasolo di Pisogne, con la moglie Monica Frassi e un figlio piccolo, Garatti è scomparso nel nulla la sera del 26 maggio di un anno fa, dopo aver salutato un amico in un bar di Costa Volpino. E già durante le prime indagini agli occhi dei carabinieri di Clusone si è spalancato un mondo in parte noto, in cui il Biscio aveva navigato, quello degli stupefacenti che dall’Alto Sebino venivano smistati per la Val Cavallina o la Val Camonica. Una condanna definitiva alle spalle a 3 anni e 4 mesi per Garatti, pizzicato nel 2009 con 40 chili di marijuana in macchina.
«La sua vita non era più quella», aveva fatto subito sapere la moglie. Ma di soldi ce n’erano tanti, troppi. E non è escluso che le fonti di guadagno fossero anche altre. Un retroscena emerge dalla richiesta di sei misure cautelari, ottenute dal pm Emanuele Marchisio, per una presunta associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale, nella zona tra Lovere, Costa Volpino e Pisogne. «Dalle attività di intercettazione sulla scomparsa di Garatti Fabrizio — scrive il pm — emergeva come uno dei principali sodali dello scomparso, ovvero Garatti Stefano, detto “Noce” (non parente, ndr) fosse dedito a un’attività illecita incentrata sull’emissione di fatture per operazioni inesistenti. In particolare, dall’attività captativa sulla vettura della moglie dello scomparso, così come sull’utenza di Garatti Stefano, emergeva che grazie alle attività criminali, tanto Garatti Fabrizio quanto il sodale riuscivano a generare un flusso di entrate pari a circa 40 mila euro al mese».
Anche i flussi di denaro finora ricostruiti, però, non hanno aiutato a fare luce sul giallo del «Biscio». Sono serviti, invece, a ottenere la custodia in carcere di Stefano Garatti, 44 anni, di Pisogne, anche lui con precedenti per droga, indagato per associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale, con più complici: agli arresti domiciliari la moglie Lia Bertoni con il fratello Luca, obbligo di dimora invece per Alessia Angioletti, di Costa Volpino, fidanzata di Bertoni, per Paolo Fruet e Michael Zamblera, i titolari delle aziende utilizzate per le false fatturazioni. Misure cautelari scattate venerdì scorso: informato dalla moglie dell’arrivo a casa delle Fiamme Gialle, Stefano Garatti si è allontanato per alcune ore dal cantiere di Trieste in cui si trovava con il cognato. Ma il giorno dopo, sabato, si è consegnato in carcere a Brescia.
Chiaro il meccanismo illecito, secondo la Guardia di Finanza di Bergamo. Garatti e la moglie erano gli amministratori di fatto della Emme Zeta di Pisogne, intestata a Zamblera, e della Glf di Lovere, di Paolo Fruet, con studio in via Martinoli 18. Sui conti correnti postali delle due società arrivavano i versamenti per «saldo fattura» di sei aziende bresciane , finite sotto la lente: soldi veri ma per operazioni inesistenti. Poi gli stessi soldi uscivano, per approdare sui conti postali degli stessi indagati, da cui ripartivano ancora. Entrate e uscite praticamente identiche. Fino all’approdo sui conti di Alessia Angioletti e di altri cinque indagati a piede libero per riciclaggio: erano loro che, alla fine di un giro che toccava le filiali delle Poste in tutto il Nord Italia (da Novara a Bologna, passando per Bergamo e Brescia), prelevavano il denaro in contanti. Quasi 9 milioni in un anno e 11 mesi: operazioni sospette segnalate dalle Poste. Troppi soldi rispetto alla reale attività edilizia, che comunque c’era, della Emme Zeta e della Glf. Denari che in contanti tornavano da un lato (e in buona parte) alle aziende che avevano pagato le operazioni fittizie, e dall’altro venivano incassati dal gruppo di Stefano Garatti.
Le perquisizioni delle Fiamme Gialle di Bergamo erano scattate il 12 ottobre. Ma già un precedente controllo contabile dei colleghi di Pisogne, aveva provocato intercettazioni utili. Il 6 ottobre, ad esempio, Lia Bertoni aveva chiesto alla madre di portar via «alcune carte» relative alla Emme Zeta: «Mi toccherà buttare tutto». E la madre aveva capito: «Bisogna strapparle però... non intere».
Le accuse Sei misure cautelari tra Lovere e Pisogne. False fatture per nove milioni di euro