Lorenzo Bonaldi L’imprenditore e il mecenate
«Imprenditore, collezionista d’arte. Mio padre Lorenzo Bonaldi era tutto questo, ma vorrei dire qualcosa sull’uomo». Così Giuseppe Bonaldi alla presentazione del volume «Essere già oltre il domani» nella collana «I Protagonisti» della Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo. Presentato ieri perché, come racconta Giuseppe, il 23 maggio era la data del matrimonio dei suoi genitori, che «da dal 1946 sarebbero stati una cosa sola, indistinguibili nel lavoro e in famiglia». Lorenzo Bonaldi era originario di Serina. Orfano di padre, si trasferisce a Bergamo. Con la moglie Carla Comana ( foto), scomparsa nel 2008, prima è rivenditore di moto, poi nel 1959 decide di investire nel Maggiolino della Volkswagen. «È stato un collaboratore a descriverlo come un uomo “oltre il domani” — dice il curatore Giuseppe De Luca —. Con anni di anticipo investì in un settore che sarebbe cresciuto in modo strabiliante. Negli anni ’90 l’Italia diventò il Paese con più alta concentrazione di automobili, 483 ogni 1.000 abitanti». Il suo percorso imprenditoriale e umano è stato ricostruito attraverso le testimonianze di famigliari e lavoratori e grazie alla ricerca nell’archivio storico del Gruppo Bonaldi, avviata nel 2015, a 4 anni dalla scomparsa e 100 dall’anniversario di nascita. Il libro è diviso in 4 capitoli. Nel primo Franco Cattaneo e Giuseppe De Luca delineano caratteri e dinamiche del successo. Il secondo è un approfondimento di Gianluigi Della Valentina sull’azienda agricola Cascina del Bosco. Nel terzo Cattaneo parla dell’incontro tra lavoro e socialità e nell’ultimo Maria Cristina Rodeschini ricorda la sua passione per le opere artistiche, che ha portato la Gamec a istituire il Premio Lorenzo Bonaldi per l’arte EnterPrize, a lui intitolato e rivolto a curatori sotto i 30 anni. «L’arte era per Lorenzo e Carla un giardino di pace e serenità — commenta Rodeschini —. Gli piaceva incontrare gli artisti e acquistare, verificando l’autenticità delle opere, e sostenendo i giovani. Dimostra una qualità ineccepibile delle scelte». «Nella sua collezione rientravano quasi esclusivamente bergamaschi — conclude Giuseppe Bonaldi —. Non si riteneva un uomo colto e dietro l’opera aveva bisogno di sentire l’uomo e l’artista, che venisse dalla sua gente».