L’eredità dell’avvocato Zilioli
Dietro il feretro, scorre una fiumana commossa di oltre 500 persone. Nel verde del cimitero monumentale, una cerimonia laica saluta l’avvocato Claudio Zilioli ( foto). «Il posto gli sarebbe piaciuto moltissimo», assicura la figlia Claudia. Sua sorella, Elisabetta, affida la memoria a una lettera: «Eri un poeta, un affabulatore che dominava la scena, fosse una cena con amici o in assise». Affiora il lato privato del padre, come quando da giovane s’era sporto a testa in giù dalle Mura, sorretto da un compagno, per recuperare la penna di un’amica. L’eredità di Zilioli, il sodalizio «eterno» di cui parlano le figlie, sopravvive nella platea. Oltre al sindaco Giorgio Gori, ci sono i principi del foro di oggi, tanti transitati come praticanti nello studio di via Verdi. C’è anche, ormai anziano, quel ragazzo difeso da Zilioli, prosciolto dalle imputazioni per la strage di Brescia. I nipoti svelano «le magie del nonno», fossero fiabe o prevedere il verde al semaforo. Mauro Angarano, suo discepolo, cita «un foglio ingiallito all’ingresso dell’ufficio»: il primo codice penale moderno, del 1791. Non si è mosso, esattamente come gli insegnamenti di chi l’ha affisso, improntati alla giustizia, all’indipendenza e all’autonomia. E Marco Zambelli spiega l’irripetibilità del maestro, così carismatico da far assolvere un collega, accusato di diffamazione, ripetendo le parole incriminate. Due poesie di Zilioli trasvolano il silenzio: si proponeva di scrivere «appena avrò finito di curare il prato», poi racconta, con l’indomita ironia, d’esser «corso a cercare la matita» alle cattive notizie del medico. A quelle parole, chi l’ha (ri)conosciuto sorride: è una lezione persino l’ultima arringa. (m.ca.)