Con il giudice Var il calcio non è più metafora di vita
Il sentimento del tifoso, dopo ChievoAtalanta di domenica sera, è scivolato verso toni mistici del tipo: «Il Var toglie, il Var dona». O la Var? La moviola in campo, proprio come gli angeli, sembra non avere un sesso preciso. Anche Gasperini, «Var» nerazzurro (Vate Atalantino Regnante), si è adeguato. Ha detto: «Va bene così». Ma non aveva una faccia proprio convinta. Nessuno di noi ce l’aveva, credo: anche se è evidente che Var (lo chiamo così, come un essere senziente) non ha fatto altro che imporre la giustizia. Ma dev’essere proprio questo che alla fine ci lascia un po’ di amaro in bocca: che la giustizia sia davvero applicata. Siamo così abituati — come popolo e società — a vedere processi lenti, prevaricazioni ripetute, sentenze eluse, prescrizioni indegne che, quando la giustizia (per quanto limitata a una partita) funziona subito e bene, il minimo è essere disorientati, come se ci fosse sotto il trucco. Personalmente, al gol di Ilicic annullato, mi sono scandalizzato. Non che le immagini non fossero chiare, ma due Var contro così, uno dietro l’altro, mi sono sembrati troppi (e non sono il solo). Tradotto in termini filosofici: la giustizia era troppo giusta da sopportare. Un bel paradosso. Di più: il rigore di Gomez, giunto quando ormai nessuno ci sperava, non l’ho vissuto come un atto giusto, ma solo come una specie di compensazione del destino: una riparazione. Lascio a più alati commentatori spingere a conseguenze estreme la nostra impreparazione ad accettare la giustizia come fatto e non solo come slogan; mi limito a restare sul rettangolo di gioco. E mi chiedo: a cosa serve l’evidenza di Var? Se il guardalinee non vede fuori la palla di Petagna, è giusto annullare il rigore che arriva tre passaggi dopo? Se Ilicic è in fuorigioco di pochi centimetri, dobbiamo aspettare minuti per saperlo? Se Orsolini viene abbattuto, l’arbitro non fischia, gli atalantini stessi non protestano e ormai stiamo tutti pensando ad altro, è bello vedere l’arbitro che ferma la partita e corre a guardare la tv? Il calcio non è un tribunale, è un gioco. Di quel gioco facevano parte errori, compresi quelli del giudice di gara, che davano all’evento il senso di una narrazione, di una storia che si dipanava come grande metafora della vita — ingiustizie comprese. Var cambia la narrazione in un modo a cui non siamo abituati. Non solo dilata la gioia del gol alle necessità del replay televisivo. Ma ci toglie anche un grandissimo piacere: lamentarci per il resto della settimana.