«Così abbiamo salvato l’educatrice»
Idrissa e Keba: qui siamo tutti fratelli africani ma chi ha fatto questo non ci sta con la testa
Dal Mali e dal Senegal, uno più schivo l’altro che se la cava con l’italiano. I due migranti che hanno salvato l’educatrice del centro di accoglienza per migranti, a Fontanella, hanno raccontato come l’hanno soccorsa. E si sono raccontati. Temono che questo episodio getti una cattiva luce su tutti, «ma in paese ci hanno ringraziati».
Sulla cancellata della comunità «Terra promessa» è appesa la bandiera dell’Italia. Fa da sfondo a Idrissa Doumbia, 29 anni, del Mali, e Keba Diassigui, 20 anni, del Senegal. I migranti del centro di accoglienza di Fontanella hanno deciso di raccontare il mercoledì mattina in cui hanno salvato l’operatrice della comunità aggredita da un altro richiedente asilo che ora è in carcere per violenza sessuale. Più timido Idrissa, mani in tasca e sguardo basso, più sicuro Keba che se la cava con la lingua italiana. Amadou, del Gambia, fa da interprete anche per lui per le parole più complicate. Atto di coraggio, ringraziamenti, paura di essere presi di mira, grandi sogni: alle domande dei giornalisti su che cosa si aspettano e temono, i due ragazzi spiazzano parlando di normalità. È normale, per esempio, essere intervenuti quando hanno sentito l’operatrice chiedere aiuto. Ed è una vita normale quella che vorrebbero, in Italia. Lavorare come meccanico l’uno, come muratore l’altro, quello che erano in Africa prima di prendere la via del mare. Mercoledì Idrissa stava andando a fare la doccia. «Non ricordo di preciso che ora fosse, ho sentito l’operatrice urlare. La porta era chiusa, io e Keba l’abbiamo spinta e siamo riusciti ad aprirla. Lei era a terra, il volto le sanguinava. L’abbiamo aiutata e messa sul letto. Non appena ci ha visti, il ragazzo ha preso una scala e si è buttato dalla finestra. Lo abbiamo inseguito, noi ma anche gli altri ospiti, tutti, di là — indica i campi — fino alla strada. Lo abbiamo preso e consegnato ai carabinieri», racconta. L’educatrice, 26 anni, aveva il volto tumefatto dalle botte ed era sotto choc. «Non riusciva a parlare, era quasi svenuta — prosegue il suo racconto Idrissa —. Non so che cosa sarebbe successo d’altro se non fossimo arrivati, non so nemmeno che cosa stava succedendo dentro il bagno. So solo che l’abbiamo salvata. Per umanità e solidarietà, perché siamo tutti uguali». Tutti uguali dentro il centro di accoglienza, «qui siamo tutti fratelli africani», e fuori, «saremmo intervenuti per aiutare chiunque, italiano o straniero». Fratello africano è anche Silvestro S. il ventenne fermato per la violenza. Un tipo riservato, anche aggressivo aveva notato l’educatrice che aveva voluto fosse visitato da una psichiatra. Idrissa è più cauto nei giudizi: «Era chiuso, ma non ho visto episodi particolari». Keba meno: «Secondo me non è a posto al cento per cento con la testa, uno che è a posto non fa una cosa del genere. Ho notato che era un po’ strano, insomma non era normale come tutti gli altri. So che lo avevano portato dalla psichiatra».
I due giovani sono l’altra faccia di questa brutta storia. Lo sanno, ma sanno anche che l’episodio negativo rischia di fare più rumore di quello positivo. «Ho sentito tante volte le persone parlare male dei migranti, dire che fanno cose brutte, ma non è vero perché le fanno anche gli italiani — prosegue Idrissa —. Ci sono persone buone e persone cattive ovunque». È dispiaciuto «per la ragazza, tantissimo, e per i migranti». Ma è contento di una conseguenza. «Qualcuno vi ha ringraziato?», chiedono i giornalisti. «Sì, anche in paese, anche se non direttamente perché non sanno chi è intervenuto, le persone hanno detto “grazie perché l’avete salvata”».
I due migranti parlano seduti a un tavolo improvvisato davanti al cancello del centro di accoglienza. Alle loro spalle, nel cortile, altri ospiti fanno capolino attirati dalle telecamere e dai microfoni che accerchiano i loro «fratelli». Una stradina sterrata li collega con
I soccorsi L’abbiamo sentita urlare, era a terra con il volto insanguinato, non riusciva a parlare Le reazioni C’è chi parla male dei migranti e questo fatto non aiuta ma Fontanella ora ci ringrazia»
il centro del paese. Passa solo qualche auto, in lontananza si vedono due cascine e i silos di un allevamento. Attorno sono solo campi. «Beh, sì, dobbiamo stare qui perché siamo in attesa dei documenti — sorride Keba — ma ci stiamo bene». Lui da due anni, Idrissa dallo scorso luglio. C’è anche il sindaco Giuseppe Lucca, che rimane ai margini. È il giorno dei ragazzi. Via i giornalisti, via il tavolo, via i riflettori. Oltre il cancello torna la normalità. La vita comune, il via vai dai recinti di anatre, asinelli e pony, i lavori socialmente utili. Come sistemare le panchine in paese. «Sì, sì — ne sono orgogliosi — l’abbiamo fatto anche noi».