Rischio smottamenti per 5 mila persone «Perché non si fa alcuna prevenzione»
Ci sono gli abitanti di Gandellino con le crepe che si aprivano nei muri, quelli di Dossena con un pezzo di paese che si muove, quelli di Fuipiano dove i quartieri si spostano, ma, assicurano all’Arpa, solo di un centimetro all’anno. Insomma, sono tanti i bergamaschi che vivono sotto il rischio di una frana: per la precisione 5.887, secondo uno studio dell’Università degli Studi di Milano e del Cnr. «Tutto quello che è in alto tende a scendere: lo insegnano il primo anno di università», riassume la geologa Mariantonia Ferracin. E in provincia di Bergamo, terza in Lombardia per smottamenti dopo Sondrio e Brescia, lo fa con una certa costanza: secondo l’Inventario fenomeno franosi dell’Ispra ogni anno fra i 500 e i 600 chilometri quadrati scendono a valle. Soprattutto sotto forma di caduta massi, scivolamento su fondi argillosi o flussi di detrito, cioè trascinati dall’acqua. È successo 29.608 volte nell’arco di 15 mila anni. «Le nostre montagne — spiega il geologo del Cnr Sergio Chiesa — hanno versanti a volte concavi e altre convessi, con cambi di pendenza causati delle modificazioni del tempo o dalle differenze della tipologia di roccia. Tutto questo è indice di precario equilibrio»
Il Servizio di monitoraggio Grandi frane dell’Arpa tiene d’occhio tre movimenti, che hanno dimensioni tali da non consentire interventi risolutivi. Sono i Tezzi di Gandellino (dove un canale di drenaggio ha migliorato la situazione, tanto che dopo tre anni di blocco i cento abitanti possono ricominciare a fare lavori alle case); il pizzo di Branzi (dove gli strumenti non hanno registrato movimenti dal 2000 e dove sono a rischio poche case), e Dossena (per il mezzo chilometro quadrato fra il municipio, la palestra e il campo di tamburello, che da tempo registra movimenti). E ora si inizia a Fuipiano, dove viene registrato uno scivolamento: da tenere d’occhio, visto che avviene nel paese dove nel 1976 una frana da un milione di metri cubi cancellò la frazione di Pagafone. Vi saranno piazzati sensori a 100 metri di profondità e antenne gps.
«Ma manca prevenzione — continua Ferracin —. Una volta i boschi e i versanti della montagna venivano sottoposti a manutenzione e controllati da chi ci abitava. Oggi in montagna non c’è più nessuno, il territorio è abbandonato e non se ne conoscono le condizioni». «La Terra cambia rapidamente e per questo, come per il corpo umano, servono esami recenti per poter fare una diagnosi e scegliere la cura — aggiunge Chiesa —. Alla base della protezione civile ci sono due concetti: prevedere e prevenire. Nel caso del dissesto idrogeologico ciò si traduce nella necessità di monitorare lo stato del territorio, con un Piano di protezione civile che ogni Comune deve aggiornare e con la conoscenza dello stato del territorio. Monitorarlo periodicamente è fondamentale per una corretta prevenzione». «Ci sono Comuni — conclude Ferracin — che mettono a bilancio i soldi per la sistemazione delle strade, ma niente per controllare periodicamente un territorio che cambia. Perché i soldi spesi per la piazza o il campo giochi si vedono, quelli per il disgaggio del fianco della montagna no».
Il monitoraggio Servizio Grandi frane in azione a Gandellino, Branzi, Dossena e ora anche a Fuipiano