Formigoni non chiede i danni agli ex Cdo
«Millantato credito» per i soldi di Locatelli: l’ex governatore non sarà parte civile
Èparte offesa, ma l’ex presidente della Regione Roberto Formigoni non si costituirà parte civile nei confronti degli ex vertici della Cdo. Di mezzo ci sono i soldi di Pierluca Locatelli, per sbloccare l’autorizzazione alla discarica di Cappella Cantone. L’imprenditore parlò di un «conto aperto» con la Cdo, ma anche di Formigoni. Contro di lui nessuna prova, però. Altri hanno millantato, ritiene il pm. Udienza il 5 ottobre.
«Non è intenzione del senatore Roberto Formigoni costituirsi parte civile»: l’avvocato Mario Brusa non può essere più chiaro e conciso. L’ex presidente della Lombardia non chiederà risarcimenti agli ex vertici della Compagnia delle Opere di Bergamo Rossano Breno e Luigi Brambilla, imputati di millantato credito ai suoi danni, nel processo che inizierà il 5 ottobre.
Un passo indietro, non breve. Pierluca Locatelli lo diceva in dialetto alla moglie, mentre guidava la sua auto zeppa di cimici: «Bisogna dare a Formigoni...è l’unico che ci ha aiutato». Intercettazioni ambientali, e telefoniche, che unite ai successivi interrogatori di Locatelli davanti ai pm di Milano, tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, avevano scatenato un putiferio, in Lombardia ma soprattutto a Bergamo. L’imprenditore aveva parlato testualmente di «un conto corrente aperto» con i vertici della Compagnia delle Opere, riferendosi a favori, consulenze fittizie, lavori con la sua azienda (nell’elenco anche le opere edilizie alla fondazione Maddalena di Canossa, per i locali usati dall’Imiberg), soldi in contanti, tessere di partito che lui aveva garantito, consapevole che quel mondo, nel momento del bisogno, avrebbe potuto tendergli una mano. Ad Roberto Formigoni ha guidato la Lombardia dal 1995 al 2013
esempio per l’autorizzazione integrata ambientale della discarica di amianto a Cappella Cantone, che era arrivata il 30 settembre del 2011, anche grazie a un atto specifico portato in giunta regionale da Formigoni nell’aprile successivo (poi giudicato illegittimo dal Consiglio di Stato).
Un giro di corruzione, ne erano convinti i pm di Milano, che partiva dall’imprenditore, passava con favori e doni di vario genere attraverso Breno e Brambilla (presidente e vice della Cdo orobica), e arrivava infine ai piani alti della Regione Lombardia: Roberto Formigoni e il suo assessore di allora Marcello Raimondi. Un castello accusatorio che si è sgretolato da solo, perché mai nessun investigatore ha dimostrato che i due pubblici ufficiali, Formigoni e Raimondi, avessero ricevuto un solo euro o un regalo da Locatelli.
Il risultato è che i pm di Bergamo, ereditando il fascicolo da Milano, avevano chiesto e ottenuto l’archiviazione per l’ex governatore e il suo assessore, parlando di «invincibile assenza di prove». Chiudendo poi le indagini a carico di Breno e Brambilla, pizzicati invece in posizioni «più nette», dal punto di vista delle accuse: 25 mila euro in contanti consegnati in auto all’allora presidente della Compagnia delle Opere, oppure un giro di consulenze fittizie con cui i soldi partivano dalle aziende di Locatelli e arrivavano a società gestite da Brambilla.
Perché? L’unica spiegazione possibile per l’accusa, ragionando naturalmente con gli schemi del codice penale, è che i due avessero millantato contatti decisivi con i vertici della Regione per sbloccare la pratica che stava a cuore a Locatelli, intascando così soldi e favori. A processo per millantato credito, quindi, presunto reato commesso ai danni di quei pubblici ufficiali usciti dall’inchiesta in modo chiaro e netto. Ma Roberto Formigoni, nonostante il rumore di quel caso, trattato ampiamente anche da Milena Gabanelli a Report, non ha «intenzione di costituirsi parte civile».
L’accusa «Millantarono contatti con i vertici regionali per intascare favori e soldi da Locatelli»