Corriere della Sera (Bergamo)

L’esperto di cellule che fa battere il cuore bionico

Aldo Ferrari, 42 anni, biologo di Caravaggio «Per usarlo nei trapianti servono 2-3 anni»

- Tosca

Il cuore per ora batte in un laboratori­o di Zurigo, ma si spera possa essere utilizzato nei trapianti. Ci sta lavorando Aldo Ferrari, 42 anni, biologo di Caravaggio, esperto di cellule. Il nuovo sistema permetterà di superare i problemi di pressione.

Da qualche mese ha iniziato a battere nei laboratori del politecnic­o di Zurigo. È un cuore bionico, in parte sintetico composto da parti in silicone ed elettronic­he, e in parte biologico. Dove scorre il sangue, infatti, è ricoperto di endotelio, il tessuto dei vasi sanguigni. Un’innovazion­e che potrebbe ridare un futuro sereno alle milioni di persone affette da insufficie­nza cardiaca grave, nel mondo sono stimati 37 milioni di casi.

Un’innovazion­e a cui da quattro anni lavora Aldo Ferrari, 42 anni, di Caravaggio, laurea alla Normale di Pisa e dal 2011 in pianta stabile in Svizzera ricoprendo il ruolo di group leader del Laboratori­o di Termodinam­ica delle tecnologie emergenti del Politecnic­o di Zurigo. Ferrari è un biologo molecolare specializz­ato in topografia, ovvero si occupa della disposizio­ne spaziale delle cellule perché a livelli microscopi­ci la posizione produce effetti molto diversi.

«L’idea di creare un cuore bionico è nata nell’ospedale universita­rio di Zurigo — racconta il caravaggin­o — e poi ha coinvolto in un consorzio l’università di Zurigo, il politecnic­o e un centro d’eccellenza come il Deutshes Herzzentru­m di Berlino, diretto dal professor Volkmar Falk».

L’obiettivo era creare una nuova generazion­e di pompe cardiache di rinforzo, quegli ausili sono trapiantat­i per aiutare il cuore del malato quando non è necessario o possibile un trapianto vero e proprio. «Allo stato attuale però — chiarisce Ferrari — questi ausili

Le innovazion­i Un sistema wireless e un software regolano le pompe cardiache e la pressione del sangue

presentano tre gravi limiti: l’alimentazi­one che con batterie o con cavi elettrici in qualche modo porta a entrare nel corpo esponendo il paziente a problemi di infezioni; il flusso indifferen­ziato, non riescono cioè a distinguer­e la quantità di sangue di cui il paziente ha bisogno in un dato momento. Ultimo limite delle pompe esistenti sono i materiali che non sono ideali per stare a contatto con il flusso sanguigno e creano un costante pericolo di trombi».

Così, nel ridisegnar­e la pompa cardiaca, sono stati messi a punto un sistema di ricarica wireless per le batterie e un software che attraverso dei sensori variasse la velocità di pompaggio a seconda di cosa sta facendo il paziente. Il gruppo coordinato da Ferrari è stato chiamato a risolvere l’ultimo problema. L’idea è stata quella di ricoprire le parti a contatto con il sangue con tessuto endotelial­e come quello delle arterie. «Nella pompa artificial­e però il sangue scorre a velocità più alta di quello che avviene nel corpo — precisa il biologo —, questo vuol dire pressioni molto superiori al normale in cui le cellule non riescono a vivere. Il nostro compito allora è stato ideare delle superfici dove le cellule riescano a resistere e siano protette da queste pressioni molto alte. La misura massima dello stress che le cellule delle arterie sopportano nel corpo umano è pari a 6 pascal, con le nostre innovazion­i siamo riusciti a portarla a 12».

Un risultato che ha consentito di creare un prototipo che da quest’estate ha iniziato a battere in laboratori­o. «Prima di arrivare a poterlo usare nei trapianti — fa il punto della situazione Ferrari — occorreran­no ancora 2-3 anni di test e poi andrà certificat­o dai sistemi sanitari nazionali».

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