L’idolo Pizzaballa e quella figurina autografata
Quando ho cominciato ad andare all’Atalanta? Il ricordo sprofonda nella notte della mia infanzia. Ma c’e’ il nome di un giocatore strettamente collegato a quel ricordo: Pier Luigi Pizzaballa. Il fatto è che mio padre andava in curva e quindi le partite le vedevamo da dietro la porta. Ora, non è che un bambino è come un grande, che appiccica gli occhi alla palla e resta lì a guardare il gioco tutto il tempo. Un bambino si distrae, guarda altre cose, focalizza altre storie. Io guardavo Pizzaballa anche quando la palla era lontana. E forse è nato lì il mio istinto di portiere, perché è quello il ruolo in cui ho sempre giocato, da ragazzo e poi anche da grande. Pizzaballa era entrato in squadra quasi per caso, ma presto si era rivelato un fenomeno ed era stato adottato dai tifosi come solo gli atalantini sanno fare nei confronti dei bergamaschi che debuttano nell’Atalanta. A me di Pizzaballa piaceva innanzitutto il nome. Oggi so che probabilmente il buon Pierluigi aveva avuto un qualche antenato artigliere, uno che «accendeva la palla»
Ammirazione Del portiere mi piaceva innanzitutto il nome. Lo guardavo allo stadio anche quando la palla era lontana
del cannone, appunto. Ma alla mia fantasia da bambino Pizzaballa non poteva essere che un nome da portiere, uno che la palla la «pizzava» con le mani per impedire il goal. E quanti ne evitò davvero a quell’Atalanta dei primi anni Sessanta, fino a diventare il portiere della Nazionale. Io Pizzaballa, poi, riuscivo a vederlo anche da vicino. Allora i giocatori mica erano vip iperprotetti. Bastava andare fuori dagli spogliatoi del Brumana e aspettare. Uscivano così, come comuni mortali, senza cuffiette nelle orecchie, e — miracolo! — scambiavano anche qualche parola con i tifosi. Io il mio idolo me lo ricordo serio, umile, con un sorriso un po’ timido, stempiato da sempre. Credo che il punto massimo della mia infatuazione per Pizzaballa avvenne quando verso gli otto anni risolsi il mio complesso di Edipo con una frase che mia madre si ricordava ancora avanti negli anni: «Mamma, divento portiere dell’Atalanta e poi ti sposo». E poi naturalmente c’è la faccenda della figurina, quella che nessuno trovava per finire l’album Panini, me compreso. Ma il destino ha voluto che Pizzaballa, in questi anni, sia diventato cliente dell’agenzia viaggi di mia sorella. Quando lei lo ha riconosciuto non ha esitato a raccontargli che era l’idolo di suo fratello. Pizzaballa, confermando tutto quello che mi ero immaginato di lui, ha tirato fuori una delle mitiche figurine e me l’ha autografata con dedica. Adesso non ho più l’album ma ho Pizzaballa, nella foto con quel suo bel maglione nero col bordo azzurro. Atalantino per sempre.