Corriere della Sera (Bergamo)

Quel ragazzo del 14 Il talento semplice di Gaetano Scirea

- Di Cristiano Gatti

Erano i primi anni Settanta, andavo a studiare dal mio amico in zona stadio. Capitava parecchie volte che al ritorno, seduto sul muretto di viale Giulio Cesare, fermata del 14, ci fosse in attesa un ragazzo un po’ più grande di me, con il suo borsone dell’Atalanta posato lì a fianco. Una domenica di settembre, credo fosse il 1972, io seduto in curva Sud per la partita col Cagliari, improvvisa­mente il ragazzo del 14 mi compare al centro della difesa atalantina. L’infortunio al libero titolare, un certo Savoia, lo porta lì nella stanza dei bottoni, dove si dirigono le operazioni, lui che tra l’altro — mi spiegano gli adulti — è un centrocamp­ista. Ruolo o non ruolo, il ragazzo del 14 lascia tutti di sasso: ha tranquilli­tà e classe di un trentenne scafato. Si chiama Gaetano Scirea, è di Cinisello. Come i Caldara e i Gagliardin­i dell’anno scorso, l’hanno prelevato direttamen­te da Zingonia e catapultat­o nel grande calcio. Da dove non uscirà più. Dopo due grandi campionati qui da noi, se lo prenderà la Juve, con la quale vincerà di tutto, fino a diventare campione del mondo in azzurro, nell’indimentic­abile

Ricordo Lo vedevo mentre attendeva il bus sul muretto di viale Giulio Cesare dopo gli allenament­i, poi me lo sono ritrovato in campo

Italia di Bearzot, 1982.È impossibil­e legare la storia e l’anima dell’Atalanta a un nome solo. Dei suoi 110 anni, io ne ho visti con i miei occhi l’esatta metà, 55. Dal giorno in cui mio padre mi portò al Brumana per farmi vedere soltanto trenta metri quadrati di campo, schiacciat­o contro la rete metallica, nella calca di un partitone con la Juve. Ma anche restando alla mezza storia che ho visto da testimone diretto, decidere il nome unico è una tortura. Mi vengono in mente in tantissimi, per bravura, tipo Pizzaballa, e per qualche altro significat­o simbolico, tipo i Mazzanti e i Pirola, i Bertuzzo e i Gardoni (Gardù, o pé o balù). Ma siccome il gioco della memoria è questo e un nome s’impone, vado dritto su Scirea. Talento del vivaio, arrivato al titolo mondiale, ma soprattutt­o esempio di semplicità e di intelligen­za. Per capire chi era e cos’era Scirea, basta prenderne uno di oggi, cresta e tatuaggi, cuffiette nelle orecchie sempre a palla, sguardo catatonico, velina in tribuna, notti in disco, Ferrari posteggiat­a nella piazzola disabili, e immaginare l’esatto contrario. Scirea era l’Atalanta come me la sono sempre immaginata io. Era il semplice ragazzo che prendeva il 14 per tornare alla Casa del Giovane, poi capace di prendere il volo verso i titoli più leggendari. Senza mai perdere niente di sé. Una storia così, forse, non poteva che avere persino un finale così: la morte a 36 anni in un terribile incidente stradale, da passeggero, in Polonia, dov’era andato per il Trap a visionare gli avversari. Lo ricordano tutti come un martire juventino, ma per me resterà il più caro atalantino di sempre.

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