Il suono giovane della fusion Sgriob band prodigio a JazzMi
Sono giovanissimi e suonano un genere complesso e impopolare per la loro età, la fusion. Il talento degli Sgriob non passa inosservato, tanto da essere gli unici bergamaschi selezionati per esibirsi a JazzMi, manifestazione che avrà, tra gli ospiti, Paolo Fresu, Stefano Bollani e Al Di Meola. Il gruppo sarà il 12 novembre, dalle 17, nel locale Vista Darsena sui Navigli, mentre il 4, alle 11, sarà alla biblioteca di Quarto Oggiaro.
Influenzati da Pat Metheny, gli Sgriob erano al suo concerto sabato al Creberg. Non solo. Al chitarrista del Missouri hanno dedicato Pat Pat, pezzo in acustico composto e suonato da Giorgio Galimberti, liceale trevigliese, 17 anni il prossimo mese, già un prodigio della sei corde. Il brano fa parte dell’ep autoprodotto Take a closer look, nelle piattaforme digitali da novembre, che invita a prestare un’attenzione speciale alla band. «Studio la chitarra da otto anni, per tre mi sono dedicato alla classica, poi all’elettrica — racconta Giorgio —. Fin da bambino mio papà, che ha suonato lo strumento fin dalla fine degli anni ‘70 negli Spoonful, mi ha fatto ascoltare Metheny, il jazz e la fusion. All’inizio, mio malgrado, poi ha iniziato a piacermi finché la passione mi è entrata nel sangue. Altri miei modelli sono Scott Henderson, Robben Ford e Mike Stern». A spingere il ragazzo a realizzare un cd è stato il suo maestro, Pietro Quilichini. I componenti, scelti sulla base dell’età e dell’affinità artistica,
sono Edoardo Tura, alla batteria, 18 anni, di Treviglio, Alex Crocetta, a piano e hammond, il più «vecchio», 20 anni, di Caravaggio. Da poco si è aggiunto Pietro Campana al basso, 19 anni, di Nese. Prima che entrasse nel gruppo, il basso nel disco è stato suonato da Nik Mazzucconi, musicista conosciuto da Galimberti quando studiava all’Accademia Centro studi musicali di Treviglio, che ha accompagnato i grandi del rock, come Ian Paice e Glenn Hughes dei Deep Purple. Particolare anche il nome della band. «Cercavamo qualcosa che suscitasse curiosità, l’abbiamo trovato in Sgriob che in gaelico indica il pizzicore del labbro quando si annusa il whisky — spiega il chitarrista —. C’è chi pensa siano
lettere buttate a casaccio».
Il quartetto, che ha in progetto il primo album, ambisce a vivere di musica. «Suoniamo un genere troppo difficile per i talent, l’ideale sarebbe farsi le ossa come turnisti. Certo, ora, conciliare studio e musica è un gran casino, ma ci si arrangia».
Nell’era dell’hip hop imperante tra i giovani, i vostri compagni di classe cosa pensano? «Non si sono mai interrogati sul genere che suoniamo. La strada è lunga e accidentata, noi andiamo avanti».