Così la città ostile occulta relazioni, natura e valori
«Pizzigoni ha un carattere ostile. Del resto il libro è un autoritratto», dice Giacinto Di Pietrantonio, suscitando l’ilarità della platea, presente allo spazio ParolaImmagine della Gamec per la presentazione di «La città ostile. Realtà dell’architettura urbana nelle sue contraddizioni storiche», edito da Christian Marinotti. «Le qualità di Pizzigoni sono superiori ai difetti. Non ha un carattere semplice», rimarca Maria Cristina Rodeschini, introducendo l’incontro. L’atmosfera è familiare, ha il sapore del «tanti auguri Attilio»: la pubblicazione del testo è avvenuta in occasione del 70° compleanno dell’autore che — dice — «avrei chiuso in bellezza la mia carriera accademica di insegnante con questo libro, ma il rettore Morzenti ha allungato il contratto di un anno. Dovrò scrivere qualcosa d’altro». Battute a parte, dagli interventi è emerso il carattere accademico del testo, che riporta le lezioni, i contenuti di studio e le conversazioni tenute dal professore architetto con gli studenti del corso di Composizione architettonica e urbana dell’Università degli Studi di Bergamo. Ed ecco che il rettore Remo Morzenti Pellegrini parla di testo che «narra relazioni e la cui ostilità può essere ricondotta all’accezione positiva di oste e quindi di ospitalità, affinché in futuro non vi siano spazi privi di relazioni».
Pizzigoni risalendo il tracciato del Morla, che dallo stadio conduce alla stazione, passando per Borgo Santa Caterina, vuole riaffermare il valore rigenerativo di «una idrografia e un’infrastruttura ecologica perduta», dice, ricordando rogge chiuse e dagli argini ristretti o avanzi di campagna solitari tra colate di cemento e circonvallazioni. L’autore riscrive una geografia delle relazioni, ripensa alla pianificazione della città riconducendola a mappe tracciate «sui valori dell’uomo e del suo abitare il mondo», afferma. Per Attilio Pizzigoni «la città ostile è un esercizio didattico. Si parla di città, di cosa sia, da dove inizia e dove finisce, delle sue diversità dalla metropoli. È quella della contemporaneità, formatasi con la prima rivoluzione industriale e sviluppatasi secondo logiche neo-liberiste, non di servizio ai bisogni del cittadino — continua —. L’obiettivo della ricerca è individuare un nuovo metodo di pianificazione secondo una visione fatta di relazioni tra spazio e tempo, nel rispetto della maternità geografica della terra». Perché come afferma Rodeschini, riprendendo alcune parti del libro, che a sua volta cita Aldo Rossi, «la forma delle città è legata alle vicende degli uomini che la abitano. È una forma di conoscenza delle realtà esterne, del senso degli edifici e dell’identità delle cose. Quando pensiamo alla forma delle città del futuro il nostro ambizioso obiettivo è aprire il sipario e fare luce sul percorso degli uomini contemporanei».
Serve un nuovo metodo di pianificazione e una visione fatta nel rispetto della maternità geografica della terra