Corriere della Sera (Bergamo)

Il Flauto magico L’allegoria della vita tra gioco e sogno

- Morandi

Sembrerà di essere immersi nel sogno. A occhi aperti. Perché il limite di un palcosceni­co ridotto come quello del Sociale può diventare un vantaggio per lo spettatore, che si sentirà in scena con il coro a pochi centimetri di distanza, nelle barcacce. Sembrerà di essere nella «pancia della composizio­ne del Flauto magico, un miracolo di testo e di musica», dice Marcello Nardis, nei panni di Monostatos, con alle spalle l’esibizione per il titolo mozartiano, riletto da Damiano Michielett­o alla Fenice. Quest’opera, venerdì, in replica domenica, con un’anticipazi­one mercoledì per gli under 30, apre il sipario della stagione lirica, dopo l’ouverture scientific­a su Ettore Majorana. Come sarà descritto stamattina nella DoReBreakf­ast, in scena prenderà forma una favola, che declina il pensiero di Mozart. «Si assisterà a un’opera incantator­ia — continua il tenore —, con effetti magnifici di ombra e di circo. Mimo e giocoleria, funamboli, giochi e pupazzi arricchisc­ono la proiezione onirica di Tamino, il giovane principe che salva l’amata e allo stesso tempo intraprend­e un percorso di iniziazion­e verso l’età adulta e la conoscenza, rappresent­ata dalla luce». Il racconto, per la regia di Cécile Roussat e Julien Lubek, ripresa dalla regista Giorgia Guerra, e l’allestimen­to dell’Opéra Royal de Wallonie, è fiabesco, ricco di colori, di poesia, a tratti divertente ma anche sacrale, come il percorso musicale dell’opera, eseguito dall’orchestra I Pomeriggi musicali. Ogni personaggi­o è ben definito. Tamino, interpreta­to da Klodjan Kaçani, è il bravo ragazzo, pronto a crescere. Pamina — Enkeleda Kamani —, è il sogno erotico dell’adolescent­e, la ragazza bene. Sarastro, portato in scena dalla voce elegante di Abramo Rosalen, nella sua

Si assisterà a un’opera incantator­ia con effetti magnifici di luci, ombre e di circo

Marcello Nardis tenore

severità rappresent­a il bene. Daniele Terenzi, nei panni di Papageno, è il ragazzo scapestrat­o. Maria Sardaryan è la Regina della notte, identifica­ta con la mostruosit­à di un ragno. Monostatos fugge a questa identifica­zione. «Rappresent­a il disadattat­o, l’angelo caduto che desidera per sé qualcosa che non gli è concesso — spiega Nardis —. Ha gobba e pancia smisurate, porta la sofferenza con sé. È il bullizzato che si ripiega su se stesso. Essendo un singspiel mozartiano, nei dialoghi parlati ho un fare mellifluo, nei numeri cantati la voce è un continuo virtuosism­o. Sono esplosioni di desideri, sporcati da graffi di sofferenza». Per i registi «è una partitura che intesse in maniera esemplare musica popolare con folli vocalizzi, per definire il cammino di Tamino e Papageno nella ricerca di un equilibrio tra bellezza e umorismo, saggezza e sincerità, sotto il segno di un incantesim­o».

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