Via la casa all’estorsore
Sequestro della casa per l’estorsore «dai metodi mafiosi» Pino Romano.
Un nome arcinoto, per la Direzione Investigativa Antimafia, quello di Giuseppe «Pino» Romano (foto), 58 anni, originario di Briatico (Vibo Valentia), ma residente a Romano di Lombardia. Tra gli arrestati, nel 2005, nell’ambito dell’operazione ‘nduja sul radicamento della ‘ndrangheta tra la Bergamasca e il Bresciano, era stato condannato in via definitiva a 7 anni e 8 mesi dopo una lunga vicenda giudiziaria, ma l’accusa di associazione di stampo mafioso era decaduta. Più in là, negli anni, il calabrese ha dovuto fronteggiare accuse di estorsione aggravata dal metodo mafioso. E ora è a piede libero, dopo aver scontato le condanne già definitive e anche un lungo periodo di sorveglianza speciale. Ma le conseguenze del suo operato, in passato, hanno ancora ripercussioni. Tramite la procura distrettuale di Brescia la Dia ha infatti chiesto e ottenuto dal tribunale di Bergamo un sequestro a suo carico come misura di prevenzione patrimoniale. Sequestrato l’appartamento di residenza di Pino Romano, in un condominio nella città della Bassa orientale, oltre a un magazzino non lontano e quote di un‘impresa edile non più operativa. E il conto potrebbe anche farsi più salato: solitamente, dopo aver ottenuto il sequestro, la Dda avanza anche l’istanza per la confisca definitiva dei beni. Personaggio che non ha mai esibito un particolare sfarzo, Giuseppe Romano era stato coinvolto nel 2012 nell’operazione «Squalo»: dopo aver riscosso crediti per conto di due imprenditori aveva poi fatto pressione anche su di loro, secondo le accuse. E in un’intercettazione telefonica si vantava della prima sentenza legata all’operazione «‘nduja», poi annullata: «A me avevano dato 26 anni di galera».