Corriere della Sera (Bergamo)

Spaccio, profughi liberi: tornano in strada

Dopo l’arresto per droga nella retata, uno assolto e l’altro con l’obbligo di firma

- Di Giuliana Ubbiali

Sono tornati per strada, uno assolto e l’altro con l’obbligo di presentazi­one quotidiana in questura in attesa della sentenza. I due migranti a cui è stato negato l’asilo, arrestati nella maxi retata della questura tra via Bonomelli e Piazzale Alpini, tornano nel limbo di chi ha perso il posto del programma di protezione. Uno, del Gambia, 19 anni, era a Casazza. L’altro, 21 anni, del Ghana, era nella struttura di via Gleno.

Dopo due no alla richiesta della protezione internazio­nale, ha perso il posto nella struttura di accoglienz­a per migranti di via Gleno. La casa di Francis Martin, 21 anni, del Ghana, sbarcato a Lampedusa, è diventata la strada. Finito nel limbo dei diniegati, da ieri ha però un obbligo deciso dal giudice Anna Ponsero: deve presentars­i tutti i giorni in questura, alle 15.

Come finirà la sua vicenda di droga si saprà l’11 dicembre, giorno della sentenza del processo per direttissi­ma rinviato ieri in attesa delle analisi dei 47 grammi che aveva addosso, hashish e marijuana. È uno dei due ragazzi finiti in manette nella maxi retata della polizia nel quadrilate­ro dello spaccio, le vie Paglia, Bonomelli, Quarenghi, e il piazzale della stazione.

Per l’altro giovane, Abdou Samureh, 19 anni, del Gambia, il processo è terminato con un’assoluzion­e «per non aver commesso il fatto». Secondo comma, la vecchia formula dell’insufficie­nza di prove, rispetto agli 11,75 grammi di hashish che aveva nei pantaloni. «La uso io, ne avevo presa un po’ di scorta — la sua versione —. Prima vivevo a Casazza, ma ora sono in strada da sei mesi, chiedo soldi alle persone». Diniegato. Lui capisce e parla bene l’italiano. L’ha difeso l’avvocato Stefano Gozo, come Martin per il quale, dopo

un tentativo di capirsi in italiano, è stata chiamata l’interprete di inglese. Così è emersa parte della sua storia personale: «In Ghana ho studiato per tre anni, ma poi mio padre è morto, non

riuscivamo più a pagare le tasse scolastich­e e non ho più studiato». E la storia di migrante finito come tanti altri nella terra di mezzo. Quella a cavallo tra i ricorsi contro il rigetto della protezione da parte della commission­e territoria­le e, nel caso di sconfitte, l’invio a un centro di identifica­zione ed espulsione. Perché i Paesi di origine non accetteran­no il rimpatrio dei migranti se prima non è certa la loro l’identità, e nazionalit­à. A Bergamo, il ghanese viveva nell’ex casa di riposo di via Gleno. Ma è uscito dal programma: «Non abito più lì, ho ricevuto due rifiuti come rifugiato».

Il problema è dove vanno a finire questi ragazzi, non solo nel senso stretto del tetto sotto cui vivere ma anche del pericolo che finiscano nei giri della microcrimi­nalità. Finché stanno nei centri di accoglienz­a non devono sgarrare, altrimenti vengono allontanat­i. Ogni mattina chi gestisce le strutture deve inviare alla prefettura l’elenco degli ospiti con tanto di nome e cognome.

«Ora dormo da amici, a volte, oppure in strada — è il racconto del ghanese —. Chiedevo l’elemosina fuori da un supermerca­to ma mi hanno mandato via». Ha raccontato di aver rotto una gamba un anno fa e di prendere dei farmaci. Dell’hashish e della marijuana che aveva addosso dice di averla comprata con qualche soldo racimolato e che per la prima volta ha acquistato la droga anche per venderla. Se dice la verità lo deciderà il giudice.

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Piazzale Alpini Una delle zone controllat­e nel blitz della polizia

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