Rapì la figlia, condannato Ma la piccola è sparita: la madre non sa più nulla
Mentre il pubblico ministero invoca la condanna a 7 anni e 6 mesi, e l’avvocato del marito l’assoluzione, lei è in Tunisia. Non ha mai smesso di cercare la sua bambina, portata via dall’ex marito Yassine Bahri, tunisino di 36 anni, il 18 aprile del 2015. La piccola, oggi quasi 5 anni, è sparita nel nulla. Lui, anche, latitante.
Il collegio presieduto dal giudice Antonella Bertoja l’ha condannato a 4 anni di carcere per sottrazione di minore, mentre il sequestro di persona non ha retto. Ha anche sospeso la potestà genitoriale di Bahri per otto anni, ma allo stato non c’è sentenza che possa ridare la figlia a questa mamma di Stezzano, di 32 anni. Non la vede e non la sente dal 15 luglio 2015. Da quando il marito, in sfregio al tribunale tunisino che ha affidato la bimba alla mamma, l’ha fatta sparire. «La signora non sa nemmeno se la figlia è viva o morta, la bimba è stata sradicata dal suo contesto, è prigioniera, un disegno mentale che il padre ha premeditato e consolidato», è la requisitoria del pm Emanuele Marchisio.
Marito e moglie vivevano a Stezzano e si stavano separando. Lui aveva il permesso di stare con la bimba. Il 18 aprile ha approfittato della fiducia e se l’è portata in Tunisia imbarcandosi a Genova. La donna è volata da loro ma mai avrebbe pensato che la bimba le sarebbe sparita di nuovo dalle mani. In Italia si è celebrato il processo senza imputato. Nemmeno l’avvocato Paolo Botteon ha mai potuto parlare con il suo assistito. «Non posso negare che siamo davanti a fatti qualificabili terribili — ha esordito — ma da calare nelle regole che governano le leggi italiane». Da qui la richiesta di improcedibilità, perché tutto è successo in Tunisia. La mamma, è il ragionamento, ha potuto prima parlare al telefono con la bimba e poi l’ha raggiunta in Tunisia. Lì il tribunale locale gliel’ha affidata. Poi è successo il peggio, ma sempre lontano dall’Italia. Qui, invece, non c’è l’imputato, la querela è stata ritirata, il ministero non si è mosso. In ogni caso in subordine, secondo il difensore, non c’è prova dei reati. Sul sequestro ha avuto ragione: non si può procedere.