Corriere della Sera (Bergamo)

RAGION DI GIUSTIZIA

- di Armando Di Landro

Anche a fronte di tutte le spiegazion­i di esperti uomini di diritto fa una certa impression­e sapere che in questo Paese esista qualcuno che nella vita è stato responsabi­le di 59 omicidi senza meritare il carcere a vita. Con la prospettiv­a di essere libero nei primi mesi del 2018. È il caso di Antonio Schettini, condannato, collaborat­ore di giustizia, campano nella ‘ndrangheta ed ex proprietar­io di una villa a Suisio, che gli è stata confiscata. Prima di lui, la lista di storie simili è nutrita di nomi ormai illustri: Tommaso Buscetta, Felice Maniero, solo per dirne un paio. Vicende che lasciano una perplessit­à perenne. Possibile che questo Paese proprio a certi soggetti debba fare sconti? Allora forse vale la pena scavare tra le spiegazion­i degli uomini di diritto. E capire perché sia il procurator­e Walter Mapelli sia l’esperto avvocato Gianluca Maris pongano l’accento su una sorta di valenza sociale dei pentiti. Ogni omicidio o altro reato di mafia non ha mai avuto una storia a sé stante, ma ha sempre fatto parte di una trama che ha provocato danni più grossi di quelli riconducib­ili ai singoli reati: un tessuto economico sotto controllo mafioso, ad esempio. Qualcosa di più grande della Giustizia. Che si è organizzat­a di conseguenz­a, con tutto lo Stato, arretrando di sicuro sul piano dei principi, ma guadagnand­o probabilme­nte in utilità, in strumenti. Un meccanismo che il Paese ha accettato, nonostante tante perplessit­à sull’onestà e le finalità di determinat­i soggetti e nonostante eterni dubbi di principio. Che tornano, quando si incrocia uno Schettini.

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