Se il gioco di squadra vale più di un 110
Moltrasio sui giovani: non c’è spazio per i solitari. Bombassei: si abituino a studiare una vita
Èstato il festival dei ragazzi. Domenica, ultimo giorno di Bergamo Città Impresa, i giovani hanno interrogato al Kilometro Rosso gli uomini della finanza e dell’industria. Come Alberto Bombassei (Brembo): «Un tempo bastava un diploma, ora un ragazzo è condannato a studiare per tutta la vita». E Andrea Moltrasio (Ubi): «Non c’è spazio per i solitari, saper giocare in squadra vale più di un 110 e lode».
Città Impresa è stato anche il festival dei giovani. L’ultimo giorno è stato dedicato alle loro domande: da «I laureati che servono alle imprese», domenica al Kilometro Rosso, è affiorato un mosaico di curiosità e incertezza che non cedono alla paura, nelle coordinate economiche, plumbee, del presente.
I relatori dialogano con la platea, assiepata di studenti. «Rispetto alla mia generazione — racconta Alberto Bombassei, patron di Brembo —, dove la conoscenza autorevole di un diplomato l’avrebbe accompagnato nella carriera fino ai vertici, oggi un ragazzo è condannato a studiare tutta la vita». Maurizio Del Conte, presidente dell’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro, evoca una statistica: entro la pensione, negli Stati Uniti un millennial cambierà mestiere almeno dieci volte. «Il tema non è che i talenti vadano all’estero, ma che tornino — riflette Andrea Moltrasio, presidente del Consiglio di sorveglianza Ubi —. Non è una questione di stipendi, ma di meritocrazia, un concetto che da noi non ha sufficientemente permeato la società». Bombassei sfata le voci sui tagli dell’Industria 4.0 (Brembo ha assunto 440 ingegneri informatici e meccatronici) e iscrive «la capacità caratteriale» nell’armamentario da colloquio. Moltrasio rilancia: «Valuto anche gli sport fatti dai candidati — rivela —. Non c’è spazio per i solitari: giocare in squadra è più importante di un 110 e lode». Del Conte ammonisce sui social, biglietto da visita indelebile.
«Mi ha colpito la grande maturità di questi giovani — chiosa Dario Di Vico, direttore di Città Impresa —. Nessuno si illude o dispera, il percorso è lungo e ci vuole una discontinuità psicologica, ma questi ragazzi sembrano voler accettare la sfida . La disillusione, almeno con questo campione, non sembra aver dato vita a frustrazione».
Il moderatore del dibattito, Nicola Saldutti del Corriere, osserva: «I ragazzi sono in grado di porsi le domande che servono per costruire il loro futuro». E il festival ha cercato di rispondere.