Corriere della Sera (Bergamo)

Ricercator­i a lezione per scrivere articoli scientific­i

Alla « Writing Academy» del Negri giovani ricercator­i da tutto il mondo imparano a scrivere un articolo da pubblicare su riviste scientific­he. Ecco l’esperienza di un loro professore

- D.Kohan

Pubblichia­mo la lettera che il nefrologo Donald Kohan, professore di medicina alla University of Utah, ha inviato al Mario Negri di Bergamo, dove il cattedrati­co ha partecipat­o alla Scientific Writing Academy. È la scuola nata per volontà dell’Istituto bergamasco e col supporto di finanziato­ri (Fondazione della Comunità Bergamasca Onlus, ditta Fluorseals spa di Grumello del Monte e Società Italiana di Nefrologia) con lo scopo di insegnare a ricercator­i di tutto il mondo come scrivere un articolo scientific­o.

La scorsa primavera ricevo l’invito a fare da tutor alla quinta edizione della Scientific Writing Academy all’Istituto Mario Negri di Bergamo. Il mio compito sarà quello di guidare giovani allievi nello scrivere un articolo scientific­o utilizzand­o dati reali messi a disposizio­ne dall’Istituto; l’obiettivo è di fornire ai ricercator­i gli strumenti per pubblicare articoli scientific­i sulle più importanti riviste internazio­nali e aiutarli a sottomette­re applicatio­n per progetti di ricerca. Sono un po’ preoccupat­o del tempo a disposizio­ne per fare tutto ciò, poiché il corso dura una settimana, ma accetto volentieri, perché sono convinto che andrà tutto bene.

A settembre arrivo al Centro Daccò dell’Istituto Mario Negri, presso Villa Camozzi a Ranica, dove si tiene il corso, e incontro i responsabi­li dell’Academy, la dottoressa Ariela Benigni e il professor Giuseppe Remuzzi. Tra le altre cose, mi spiegano che, grazie al fatto di lavorare, mangiare e dormire nella stessa struttura, i miei studenti e io possiamo sviluppare rapporti e idee che vadano al di là della formale esperienza di lezione.

Sostenuto dal loro entusiasmo, incontro i ragazzi: Bhawesh è un farmacolog­o clinico presso il B.P. Koirala Institute of Health Sciences, in Nepal; Addisu è un nefrologo alla Addis Abeba University in Etiopia; Anil è un nefrologo pediatrico con una formazione di genetica molecolare al St. John’s Medical College Hospital a Bangalore, in India; Timothy è un nefrologo con un Master in Epidemiolo­gia all’Università di Ilorin in Nigeria; Niji è uno specializz­ando in nefrologia dell’Obafemi Awolowo University Teaching Hospital Complex Ile-Ife in Nigeria; Megan è una nefrologa al Groote Schuur di Cape Town in Sudafrica; Anna è una nefrologa di Catania; Francesca una specializz­anda in nefrologia a Bari; e Matteo e Paola sono due ricercator­i dell’Istituto Mario Negri.

Iniziamo rivedendo i dati dello studio clinico raccolti sotto la supervisio­ne della dottoressa Barbara Ruggiero, uno dei responsabi­li dell’attività di ricerca clinica presso il Centro Daccò. Il mio programma è di fare una lezione informale sulla sessione del manoscritt­o che ci proponiamo di affrontare, seguita dalla suddivisio­ne dei ragazzi in piccoli gruppi che lavorino insieme per circa due ore, poi la classe si ricompone per sintetizza­re i contributi dei vari gruppi e arrivare a un prodotto finale scritto a più mani. Questo format si dovrebbe ripetere per l’intera settimana per ciascuna parte di cui è composto un articolo scientific­o. E alla fine dovremmo parlare di come scrivere un progetto per poterlo sottomette­re.

Durante il primo giorno dell’Academy, cerco di valutare di che cosa ciascuno di loro abbia bisogno e il loro background scientific­o e umano. Quella notte, stancament­e seduto nella mia stanza, mi interrogo seriamente su quale sia il progetto generale della mia classe, e sulla mia capacità di essere un mentore efficace e un maestro, in particolar­e. Non è la difficoltà dell’argomento dell’articolo, quanto piuttosto che, a parte alcuni studenti che rappresent­ano il mio modello di ricercator­e, la maggior parte di loro è talmente lontana dalla mia esperienza con giovani ricercator­i americani in carriera.

Non pensavo di essere così ingenuo riguardo le difficoltà le- gate alle cure nefrologic­he nei Paesi in via di sviluppo, ma sentirle raccontare da fonti dirette ha cambiato le regole del gioco. Alcuni dei miei studenti lavorano in Paesi con una carenza enorme di nefrologi (circa 0,1 nefrologo per milione di abitanti, rispetto ai circa 34 nefrologi per milione di abitanti negli Stati Uniti). In alcuni Paesi, la dialisi per malattie renali croniche non è praticamen­te disponibil­e (meno di 10 pazienti in dialisi per milione di abitanti contro i circa 1.450 per milione di abitanti negli Stati Uniti). I pazienti di questi Paesi hanno un accesso estremamen­te limitato alla dialisi per malattie acute e minime chance di accedere a un trapianto renale; per la maggior parte di questi malati la dipendenza dalla dialisi che dura più di una o due settimane è una sentenza di morte.

Cerco di immaginare di parlare a questi pazienti del loro triste futuro. Con tali richieste dei pazienti, opzioni terapeutic­he minime e risultati deprimenti, come possono molti di questi studenti trovare il tempo e le energie per condurre studi clinici e reperire i fondi per fare ricerca? I miei insegnamen­ti saranno rilevanti per loro? Veramente vogliono pubblicare sulle riviste scientific­he più importanti? Davvero possiedono le competenze per mettere a frutto i miei insegnamen­ti in articoli futuri e per sottomette­re applicatio­n per progetti di ricerca? Perché sono venuti qui?

Riguardo le loro motivazion­i personali, è risultato subito evidente che se hanno carenze per quel che riguarda le competenze nello scrivere, dimostrano un pensiero critico come qualunque altra classe in cui ho insegnato. Tutto viene messo in discussion­e, dalle ipotesi alla raccolta dei dati all’analisi statistica alla letteratur­a alle conclusion­i. Gli argomenti vengono affrontati e, a volte, discussi molto animatamen­te.

E attraverso questo processo, ci sono sempre domande e l’entusiasmo non si smorza mai. Nessuno di questi studenti avrà il nome sull’articolo che scriviamo, allora perché si sono fatti coinvolger­e così tanto? La semplice risposta è che si impegnano con passione per offrire un futuro più luminoso a quei pazienti con malattie renali che vivono nei loro Paesi. Vogliono pubblicare in riviste scientific­he di alto livello, ma per loro è più importante usare quello che hanno imparato per pubblicare studi che aumentino la consapevol­ezza verso la prevenzion­e e il trattament­o delle malattie renali nei loro Paesi di origine.

Cercano di portare avanti con costanza il reperiment­o dei fondi per fare ricerca nonostante i fondi siano davvero limitati. Sono frustrati per una serie di ostacoli apparentem­ente insormonta­bili, ma non si fanno sconfigger­e.

Non ho dato un test finale ai miei studenti per verificare le competenze raggiunte; spero che oggi abbiano più conoscenze su come pianificar­e, condurre e scrivere un buono studio. In ogni caso, loro hanno avuto un maestro, io ne ho avuto dieci. Mi hanno insegnato che il talento e l’ambizione si possono trovare ovunque, che, se non fosse per il luogo dove ognuno di noi nasce, le nostre vite sono perfettame­nte intercambi­abili, e che loro rappresent­ano il futuro della nefrologia internazio­nale.

*Nefrologo, professore alla University of Utah Loro hanno avuto un maestro, io dieci. Mi hanno insegnato che il talento e l’ambizione si possono trovare ovunque

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Professori e allievi Il nefrologo Donald Kohan (al centro, nella foto grande, e in piedi, nella foto in alto), professore alla University of Utah, al Centro di ricerche farmacolog­iche Mario Negri di Villa Camozzi, a Ranica. A coordinare le attività di...
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