Il fascino del Bocia? Ricorso al veleno del pubblico ministero
Dedicare certi contenuti «al Galimberti, senza citare i fatti di cui si è reso responsabile, fa pensare che lo stesso tribunale non sia rimasto indifferente a quel presunto fascino». È un ricorso al veleno quello del pubblico ministero Carmen Pugliese contro l’assoluzione, perché il fatto non sussiste, dei sei ultrà imputati in primo grado per associazione a delinquere: il leader della tifoseria Claudio Galimberti (foto), insieme ad Andrea Piconese, Luca Valota, Giuliano Cotenni, Davide Pasini e Andrea Quadri. Nelle motivazioni della sentenza di assoluzione il giudice Giovanni Petillo aveva scritto: «Alla figura del Galimberti dovrebbero interessarsi più i sociologi che i magistrati per cercare di spiegare come questo giardiniere bergamasco, dalla faccia e dai modi di “Braveheart” di provincia, possa essere assurto non solo al ruolo di leader della Curva Nord dell’Atalanta, ma a quello di vera e propria figura carismatica, in grado di esercitare fascino, attrazione e potere di persuasione su un gran numero di persone, di ogni genere di età e di ogni estrazione sociale». Considerazioni per nulla digerite dalla pubblica accusa, che le contesta con la battuta sul presunto fascino del Bocia, ma scende anche nel merito, nel ricorso in appello, delle affermazioni del giudice secondo cui mancherebbe uno «stretto legame tra gli imputati per l’ideazione di azioni criminose». Legame che invece c’è, sostiene il pm Pugliese, così come sarebbe esistita la programmazione di episodi di violenza. «Domenica scontri...», annunciava il Bocia in una telefonata. E saranno ancora le intercettazioni a giocare un ruolo fondamentale. (a.d.l.)