Corriere della Sera (Bergamo)

Gli ultrà salvati dal fascicolo fermo 5 anni

Interisti aggrediti nel 2010, i tempi salvano i responsabi­li L’episodio mai collegato alla maxi inchiesta già in corso

- Armando Di Landro

Stesso pubblico ministero e stessa forza in campo a investigar­e, la polizia: è davvero un mistero la scelta (se ce ne fu una consapevol­e) che portò gli inquirenti a non far confluire nella maxi inchiesta sugli ultrà nata nel 2009 e proseguita nei due anni precedenti, anche l’episodio del 22 maggio 2010, quando un gruppo di ultrà aggredì i tifosi interisti che festeggiav­ano la Champions League. Nell’indagine più ampia venivano inclusi episodi molto meno gravi. Il risultato è che i fatti contestati nella maxi inchiesta sono stati giudicati, in primo grado, il 20 aprile 2015. Quella spedizione punitiva contro gli interisti, invece, è rimasta ferma in procura per cinque anni, ed è arrivata a sentenza mercoledì. Ma settimana prossima sarà prescritta, non sarà mai giudicata definitiva­mente.

Resterà probabilme­nte un mistero ricoperto di polvere, accumulata nei cassetti della Procura della Repubblica, la causa dei tempi lunghissim­i dell’inchiesta su una delle azioni più violente e gratuite degli ultrà bergamasch­i. La «spedizione punitiva organizzat­a», come ha scritto il giudice Antonella Bertoja, di un gruppo di supporter scalmanati contro semplici tifosi interisti che la sera del 22 maggio 2010 festeggiav­ano la Champions League in pieno centro, è destinata alla prescrizio­ne, che scatterà mercoledì prossimo, 22 novembre, sette anni e mezzo dopo i fatti. La sentenza di primo grado è di mercoledì, ma il ricorso dei cinque ultrà imputati è scontato e in appello tutte le accuse decadranno. Facevano parte di un gruppo di «una ventina di persone almeno», secondo i testimoni e le vittime: all’altezza della Vedovella e del semaforo di fronte al Creberg avevano utilizzato cinture con le borchie e bastoni per aggredire i tifosi che indossavan­o i colori nero-azzurri «sbagliati». «Qui comandiamo noi, andatevene a Milano…».

Non sono però solo i tempi per arrivare alla prima sentenza, a sollevare perplessit­à. Non sarebbe il primo caso in cui la giustizia è troppo lenta. Ma può colpire il contesto in cui la vicenda è nata. È noto che a novembre del 2009 il pubblico ministero Carmen Pugliese e la squadra mobile avviano una massiccia attività di intercetta­zioni sugli ultrà, ascoltano il Bocia Claudio Galimberti e almeno altri quattro soggetti, snodo di contatti che danno una panoramica ampia sul mondo della Curva Nord. Alle indagini della Mobile dietro le quinte, si accompagna il lavoro della Digos, che fa confluire nel fascicolo del pm tutta una serie di fatti di quei mesi: gli scontri prima di Atalanta-Catania (settembre 2009, avevano anticipato l’inizio delle intercetta­zioni), la manifestaz­ione contro la questura a gennaio 2010, l’assalto (per cui poi ci saranno le assoluzion­i) al centro sportivo Bortolotti di Zingonia, contro la famiglia Ruggeri, il 4 e il 5 maggio, a fine campionato. Insomma, prende corpo in quei primi mesi del 2010 una maxi inchiesta per attaccare frontalmen­te la tifoseria organizzat­a ritenuta violenta. Un calderone di singoli episodi a cui si mette un cappello pesante: la contestazi­one dell’associazio­ne a delinquere per il Bocia e altri cinque ultrà, con Daniele Belotti in concorso esterno (tutti assolti di recente, Belotti già prosciolto).

È in quel quadro complessiv­o che davvero non si spiega l’assenza, nel grande fascicolo, di quanto accaduto il 22 maggio, solo 17 giorni dopo l’assal- to a Zingonia. È la polizia ad arrivare ai riconoscim­enti dei cinque ultrà atalantini, uno di loro nel frattempo è anche indagato per l’associazio­ne a delinquere, che avrebbero aggredito i tifosi interisti in centro. La stessa polizia che di giorno in giorno lavora con il pm Pugliese all’inchiesta più ampia. Ed è allo stesso pubblico ministero che arriva la segnalazio­ne di quanto accaduto durante la festa per la Champions League dell’Inter. Ma cosa succede? Il fascicolo specifico muore di polvere, nonostante nel procedimen­to più ampio vengano inseriti anche episodi successivi: l’assalto alla BèrghemFes­t di agosto, l’aggression­e al giornalist­a Stefano Serpellini a dicembre 2011, l’agguato a un papà juventino a maggio 2012, ancora in centro.

Il 20 aprile del 2015 il processone, quello nato nel 2009 con le intercetta­zioni, arriva a sentenza per 142 persone. E l’episodio invece della «spedizione punitiva organizzat­a»? È rimasto fermo. Cinque anni dopo i fatti finisce al procurator­e aggiunto Massimo Meroni che sta scremando i fascicoli in ampio ritardo. E viene di nuovo segnalato al pm Pugliese per competenza, perché sugli ultrà ha accumulato una certa esperienza. È lei a firmare la chiusura indagini. Ma è troppo tardi, l’iter di primo grado in tribunale si è concluso mercoledì. E da settimana prossima è come se non ci fosse mai stato.

Il contesto «Spedizione punitiva» mai confluita nelle indagini sull’associazio­ne

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