Le sconfitte (e gli insegnamenti) da Caporetto a oggi
La parola, fresca di centenario, è rispuntata agli onori della cronaca giusto dieci giorni fa, dopo ItaliaSvezia: Caporetto. Curioso, vero? Per una sconfitta catastrofica abbiamo quel termine; e dalla geografia della Prima Guerra Mondiale mutuiamo un nome anche per la resistenza eroica: il Piave. Ma per la vittoria no, nessuno dice che un evento positivo è stata la «Vittorio Veneto» di qualcosa. Una ragione c’è, ed è quella che lo storico
bergamasco Mario Isnenghi ha ben spiegato nel suo libro La tragedia necessaria: gli italiani imparano su loro stessi molto più dalle sconfitte che dalle vittorie. Ragionare sulla sconfitta, e sul prezzo che si paga per ribaltarla in riscossa attraverso un secolo di storia italiana è stato il punto di partenza. Perché siamo un popolo così, e non è né un male né un bene, ma è necessario interrogarsi su cause e conseguenze di un tale carattere nazionale. Lo abbiamo fatto raccontando quattro storie. La prima è la Caporetto storica, quella militare. Non attraverso gli eventi bellici, ma con le vicende di profughi, prigionieri, orfani e donne. Poi ci sono il fascismo e la Resistenza, che conducono a un dopoguerra pieno di questioni irrisolte. Terzo capitolo: gli anni Settanta, la guerra civile strisciante di cui la strage di Piazza della Loggia a Brescia è un capitolo cruciale. Infine, la Caporetto contemporanea: la crisi demografica, in particolare lo spopolamento del Sud. Una Caporetto forse definitiva, dalla quale potrebbe emergere un’Italia che non assomiglia più a quella che abbiamo sempre conosciuto. C’è una morale a questa storia, a queste storie? Molte e contraddittorie, ma con un comun denominatore: la resilienza degli italiani. Un popolo capace di terribili meschinità, ma autore anche di straordinari riscatti morali.